Flavia Matrisciano è la direttrice della Fondazione Santobono Pausilipon, istituita nel 2010 con l'obiettivo di sostenere l'AORN Santobono Pausilipon nel costante miglioramento della qualità della vita e delle cure per i piccoli pazienti e le loro famiglie. Flavia è una donna che ha cresciuto dentro di sé l'innato desiderio di dedicare la sua vita agli altri, ai più bisognosi.
La tua missione presso la Fondazione: quando e come è nata?
Collaboro con la Fondazione Santobono Pausilipon dal 2012, ma il mio impegno nel sociale è iniziato diversi anni fa durante gli anni del liceo. Ho avuto l'occasione di sperimentare l'importanza concreta di lavorare al servizio degli altri grazie a un progetto di volontariato organizzato dal mio docente laico di religione, che ha scelto di insegnarci il valore di aiutare le fasce più deboli della società in maniera pratica. Questo valore l'ho respirato e vissuto fin dalla nascita grazie agli insegnamenti di mio padre, che con azioni semplici ma quotidiane ci ha insegnato il significato più profondo di far parte di una comunità. L'opportunità di mettere in pratica gli insegnamenti di mio padre e tradurre in azioni concrete la mia inclinazione naturale ha definitivamente influenzato il mio modo di vedere il mondo, le persone e gli obiettivi futuri. Quel periodo è stato uno dei più formativi e stimolanti della mia vita, permettendomi di mettermi alla prova, conoscere i miei limiti e superarli a volte. Da lì è iniziato il mio percorso nel mondo del sociale: ho servito e cucinato alla mensa della Caritas, portato beni di conforto ai senzatetto, fatto doposcuola ai bambini dei quartieri a rischio e prestato servizio presso case famiglia e ospizi. Questa esperienza mi ha insegnato a tradurre i bisogni concreti delle persone in risposte efficaci. In Fondazione, sinergicamente con la direzione strategica dell'ospedale, cerchiamo di fare lo stesso: partire dai bisogni concreti che registriamo per trovare soluzioni affinché il servizio di cura, assistenza e accoglienza sia il più efficace possibile.
Quali sono i risultati più significativi raggiunti dalla Fondazione finora?
La Fondazione è nata come braccio armato dell'azienda ospedaliera, con l'obiettivo di migliorare la qualità di vita e di cura dei giovani pazienti e delle loro famiglie. Negli anni, abbiamo realizzato numerosi progetti che hanno contribuito a far diventare l'AORN Santobono Pausilipon un punto di riferimento di eccellenza per le cure pediatriche nel sud Italia. Abbiamo sostenuto l'acquisto di macchinari tecnologicamente avanzati, creato appartamenti destinati all'ospitalità gratuita delle famiglie con bambini affetti da malattie gravi provenienti da fuori regione o città, partecipato a corridoi umanitari in luoghi dove il diritto alla cura dei bambini non è garantito, promosso la ricerca scientifica, e ristrutturato interi reparti per creare un ospedale "a misura di bambino." Abbiamo anche organizzato attività di accompagnamento durante il percorso di cura in ospedale.
Quali sono le priorità future della Fondazione Santobono Pausilipon?
In linea con gli obiettivi di crescita indicati dal direttore generale dell'azienda ospedaliera, il dott. Rodolfo Conenna, stiamo sostenendo in maniera sostanziale e significativa la ricerca in oncoematologia pediatrica. Nello specifico, grazie alle importanti donazioni di aziende e privati, stiamo realizzando un laboratorio di ricerca per poter offrire cure sempre più all'avanguardia anche a quei pazienti che non reagiscono ai normali protocolli di cura e che, senza protocolli sperimentali, non avrebbero speranza di guarigione. Tutto questo è possibile grazie all'enorme e meravigliosa rete di solidarietà creata dai cittadini, dalle aziende e dalle istituzioni attorno al nostro ospedale e ai nostri bambini.
Quanto è complicato assistere al dramma vissuto quotidianamente dalle famiglie dei bambini ricoverati?
Questo è, per certi versi, l'aspetto più "complesso" del mio lavoro, ma anche il più umano. È un tema molto delicato, difficile da inquadrare nelle poche righe di un'intervista. Coinvolge in maniera prepotente la parte più intima e profonda dei sentimenti, la parte che ognuno di noi fatica a controllare. Quando incontri un bambino e sua madre tra le corsie dell'ospedale, si instaura immediatamente un rapporto di solidarietà. Ci si riconosce subito come esseri umani e ci si spoglia di quella maschera che, fuori di qui, ognuno indossa per proteggersi. In ospedale, tutto questo viene abbattuto immediatamente dal sorriso spontaneo di un bambino o dalla lacrima di una madre. C'è una umanità difficile da incontrare altrove, ci si abbraccia molto facilmente ed altrettanto facilmente si entra nella vita degli altri. In questa ottica, è facile capire come anche la loro sofferenza diventi un po' la nostra e come sia difficile poi tornare a casa senza portarsi anche un po' di quel dolore. Si diventa una famiglia, una famiglia speciale ma bellissima. Ecco, c'è una bellezza in tutto questo che è difficile da immaginare e, per me, finanche da raccontare ma che è meravigliosa. Ho incontrato "esseri umani" fantastici lungo il mio percorso che rimarranno per sempre impressi nel mio cuore e nella mia mente.
Quali sono i sentimenti che ti accompagnano quando varchi la soglia di casa dopo una lunga giornata trascorsa in ospedale a stretto contatto con i piccoli pazienti ricoverati?
Non ho una risposta per questo. Non una sola almeno. Ci sono giornate che porto a casa il dolore e la sofferenza dello sguardo di una mamma rassegnata o del volto di un bambino esausto. Altre che torno addolorata, arrabbiata o avvilita per l’ennesimo caso di violenza brutale ai danni di un bambino al quale gli adulti che avrebbero dovuto proteggerlo lo hanno esposto. Altre sere, però, torno a casa felice per un piccolo progresso raggiunto, per un ringraziamento ricevuto o semplicemente per il sorriso che sono riuscita a regalare a un bambino al quale sono riuscita a realizzare un piccolo sogno o desiderio. Queste serate danno senso a ogni mia giornata, anche alla più difficile. Recentemente ho ricevuto una telefonata da una mamma di una nostra paziente che, purtroppo, non c'è più. Mi ha chiamato circa un mese dopo la scomparsa di sua figlia per dirmi: "Flavia, non preoccuparti per me perché ce la faccio e volevo che tu lo sapessi." Lei ha chiamato me per darmi conforto, anche mentre stava vivendo il dolore più atroce che si possa immaginare. Questo è ciò a cui mi riferisco quando parlo di bellezza.
Ti andrebbe di condividere una storia o un momento toccante legato alla tua missione in ospedale che ti ha particolarmente colpita?
Di storie che mi hanno colpita ne ho tantissime. Ed hanno tutti un nome ed un cognome. Ricordo qualche anno fa l’incontro con una bambina di appena 8 anni che giunse in pronto soccorso per le violente percosse subite dal patrigno. Le stesse botte uccisero il fratellino di appena 6 anni. Il suo sguardo non lo dimenticherò mai, raccontava la sofferenza di chi resta invisibile alla società; di chi non aveva ricevuto aiuto da quel mondo di adulti che avrebbe dovuto proteggerla e che invece l’aveva sacrificata sull’altare dell’egoismo e dell’indifferenza. Ma più ci sono le storie belle, quelle a lieto fine. Come quella di Dmytrii, un bambino ucraino di 5 anni arrivato da noi lo scorso giugno da Mariupol, luogo simbolo della guerra, con la sola speranza di trovare finalmente una cura alla patologia congenita rara di cui soffriva e che lo ha costretto ad alimentarsi, fin dalla nascita, solo attraverso un sondino. Dopo un delicatissimo intervento chirurgico, ed una rieducazione alimentare comincia la lenta ripresa. I primi bocconi masticati dalla sua bocca, il cammino verso una normalità inseguita per ben 5 anni. Vederlo correre, mangiare e ridere come un bambino “sano” è sicuramente uno di quei momenti che non dimenticherò facilmente.
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