Breve guida ai disastri della sanità campana - di Severino Nappi

Severino Nappi • 10 dicembre 2022

Breve guida ai disastri della sanità campana - di Severino Nappi

Evidentemente Vincenzo De Luca ha una sua personalissima idea della sanità in Campania. Immerso nella realtà virtuale dei social, circondato da una corte di tremuli yesman e nascosto dietro un sistema di comunicazione che non contempla il contraddittorio, costui trascorre il tempo a negare l’evidenza dei fatti, quelli che i cittadini scontano ogni giorno sulla propria pelle. E così, mentre da quasi otto anni il presidente della giunta non smette di raccontare la storia di un servizio miracoloso - “la sanità migliore d’Italia” resta il suo slogan preferito - il conto è salato e lo pagano i campani: la sanità nella nostra regione è un abisso che si proietta sempre più rapidamente verso il fondo. Un sistema spettrale, costellato di un serie biblica di fallimenti, frutto dell’inefficienza, della mancanza di visione, di una gestione scellerata, dell’immobilismo dell’attuale amministrazione regionale.


La lista del disastro è lunga, ne sono piene le pagine dei giornali, ne sono colme le misure della pazienza, della resistenza, della qualità di vita dei campani. Vale la pena di metterne in fila qualcuno. La nostra regione, sul fronte del servizio (fondamentale) della sanità, si staglia unicamente per ritardi, inefficienze, sprechi di fondi, malgoverno. In Campania si muore più che in ogni parte d’Italia per malattie del sistema circolatorio, per decessi da tumore e, in generale, per mortalità prevenibile, trattabile ed evitabile. Vogliamo parlare poi dei presidi di medicina territoriale? Corsie sovraffollate con il perenne sistema dei degenti (poco importa se in gravi condizioni) “parcheggiati” in serie sulle barelle; strutture ospedaliere rarefatte e ridotte a cattedrali nel deserto, sovente prive di personale nei servizi che pure dichiarano attivi sulla carta; pronto soccorso al perenne collasso, assaltati da uno sterminato numero di utenti; servizi di ambulanza inefficaci, con personale largamente allo stremo perché ridotto all’osso; prestazioni ambulatoriali improbabili e conquistate a suon di gomitate.


L’elenco potrebbe continuare all’infinito, ma basta un solo altro dato a riassumere la situazione: la Campania detiene il lugubre primato della regione con la più bassa aspettativa di vita d’Italia: i campani vivono in media un anno e mezzo di meno degli altri italiani. Quando poi ci scappa il morto e proprio non può sottrarsi al tumultuare rabbioso sotto le sue finestre, De Luca tira fuori la storiella della mancanza di personale, descritto di volta in volta come conseguenza del destino cinico e baro oppure di Roma che vuole stritolare il gioiello campano, evidentemente in preda ad incontenibile invidia per il miracolo deluchiano. Anche qui la verità la conoscono i tanti medici ed infermieri costretti ad emigrare e quelli che devono calare la testa di fronte ai soprusi di scherani a volte più arroganti del loro stesso capo. In Campania si viene assunti, e ancor di più si fa carriera, solo se si è in possesso della tessera del partito personale del presidente, come sublimato dalla vicenda della creazione - unico caso d’Italia - di una doppia unità chirurgica coronarica all’ospedale Ruggi di Salerno, funzionale unicamente a dare adeguato ruolo al proconsole deluchiano in tema di sanità, quell'Enrico Coscioni salito agli onori della cronaca giudiziaria prima per i pazienti morti sotto i ferri e poi per i modi spicci nella sostituzione dei direttori generali delle Asl invisi al presidente, e infine gratificato addirittura del prestigioso incarico di presidente nazionale dell’Agenas.


Quanto agli altri, poco importa. A partire dai giovani medici, così frequentemente evocati nel suoi discorsi da buon padre di famiglia ma talmente dimenticati che c’è voluta un’interrogazione consiliare e le proteste pubbliche del presidente dell’Ordine dei medici per far pagare almeno le borse agli specializzandi già in servizio. E vogliamo parlare degli infermieri e degli Oss, passati dal ruolo di eroi del Covid quali elementi ancillari della retorica del lanciafiamme a quello di fastidiosi accattoni per aver richiesto - inutilmente - il rispetto degli impegni assunti per iscritto?

E non finisce ancora. C’è la questione dei tetti di spesa per le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture convenzionate, altro “successo” di questa oscura stagione. In Campania i tetti per le strutture si esauriscono addirittura nei primi 10 giorni del mese, se non prima. E, per di più, i tempi sul completamento del Cup continuano a essere incerti. Questo vuol dire che un paziente - di qualsiasi tipo, anche oncologico - che ha bisogno di cure e assistenza, ha due sole strade davanti a sé: o attendere l’esito della prenotazione di una visita che forse non arriverà mai, oppure pagare di tasca propria. Sulle liste d’attesa per ricoveri, visite specialistiche ed esami, è dovuta intervenire persino la Corte dei Conti, nell’ambito dell’ennesima inchiesta che in questo caso ha coinvolto sei tra Asl e ospedali.


La Regione, hanno sottolineato i magistrati contabili, è talmente lontana dal garantire tempi accettabili nell’erogazione dei servizi che siamo ormai di fronte ad un vero e proprio smantellamento dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), paradossalmente operato da chi, a giorni alterni, si proclama paladino degli uguali diritti in tutto il Paese. E poi ci sarebbero gli ospedali modulari per il Covid, scatole vuote mai entrate in funzione perché senza collaudo (sic!), le mascherine farlocche per i bambini, la card che avrebbero dovuto certificare lo stato di certificazione Covid e mille altre oscure vicende costate centinaia di milioni ai cittadini campani cui poi, nel nome del rigore a fasi alterne, a volte si arriva a negare persino i medicinali salvavita.

Certo, ora De Luca ha trovato il modo di mettersi una nuova coccarda, quella del ricalcolo del riparto della spesa sanitaria. Che dal 2023, non terrà solo conto dell’età anagrafica della popolazione campana, ma anche del tasso di mortalità e della privazione socioeconomica. Ma basta saper far di conto per scoprire che le somme sperate corrispondono - dati alla mano - a circa un decimo dei costi annualmente sostenuti (in modo assai discutibile) dalla sola Asl Na1 per capire che non si può parlare neppure di un pannicello caldo.

In realtà, il tema è un altro. Quel che non funziona in Campania è proprio il sistema cinicamente creato da De Luca. Un sistema fatto di direttori generali delle Asl nominati direttamente dal presidente della Regione e, peggio ancora, sottoposti esclusivamente al suo controllo in forza di una leggina votata dal Consiglio regionale come sempre supino ai desideri del suo despota. Questo impianto ha creato nella nostra Regione un meccanismo fatto di piccole repubbliche indipendenti, nelle quali nessuno controlla nulla e tutti si preoccupano solo di farsi gli affari loro, in ogni senso. Con un solo, invalicabile, vincolo. Quando Salerno chiama - non importa per cosa o per chi - si esegue, a qualunque costo. Tanto la stessa magistratura è sommersa da questioni e quindi materie complesse come quelle dell’organizzazione sanitaria si infilano ampiamente nei meandri della burocrazia senza che sia esattamente chiaro il come e il perchè di certe scelte.


È necessario, dunque, modificare il metodo di selezione, gestione e controllo di chi gestisce le Asl e in generale tutte le strutture verticistiche amministrative, a partire proprio dalla materia sanitaria, per superare l’affidamento degli incarichi secondo logiche esclusivamente clientelari. Quanto all’organizzazione del sistema sanitario regionale, non è rinviabile una profonda modifica della sua forma. L’esperienza quotidiana insegna che bisogna puntare ad una sanità territoriale, di prossimità, di immediatezza. Un sistema che, attraverso strutture, magari realizzate anche in sinergia pubblico-privato, assicuri tempestività e sicurezza nell’erogazione dei servizi di base (per capirci, dalla radiografia all’elettrocardiogramma) cui oggi si accede nel pubblico esclusivamente all’interno dei pochi e troppo congestionati ospedali.


Le grandi strutture non servono per la quotidianità del ricorso alla sanità da parte del cittadino, ma per garantire le prestazioni d’eccellenza di fronte alle patologie importanti, la cui cura non può essere garantita adeguatamente in contesti nei quali la medicina salvavita deve convivere con l’aspirina. Certo, per farlo occorrono visione, coraggio, capacità. Tutte caratteristiche che De Luca e i suoi hanno ampiamente dimostrato di non possedere.

Ma noi non disperiamo e continuiamo a lavorare per voltare pagina, al più presto.

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