Come siamo cambiati 50 anni dopo la scoperta dei cellulari

Mario Volpe • 8 aprile 2023

Oggi, secondo l’osservatorio Strategy Analytics, circolano nel mondo quasi quattro miliardi di telefoni cellulari e altrettante persone con il capo chino appiccicato allo schermo per gran parte della giornata. Ma se l’oggetto telefono, sempre più potente, tecnologicamente avanzato, sottile e irrinunciabile è il peccato; le applicazioni, i software e le comunità digitali sono la tentazione.

La tentazione di non restare isolati, perché il vero paradosso è quello di stare insieme pur stando fisicamente isolati.


Ci sono uomini più avanti di altri, che vedono più avanti di altri. Ci sono uomini che il futuro non lo aspettano; lo progettano, ma spesso non immaginano come le nuove idee, tecnologie ed oggetti possano trasformare le relazioni sociali al punto da rendere il comportamento delle persone irriconoscibile agli occhi del passato.

 

Irriconoscibile e talvolta patologico, pure l’ingegnere sovietico Leonid Ivanovic non fece altro che dispiacersi quando il Radiotelefon LK1, l’apparecchio da lui brevettato per collegarsi alla rete telefonica tradizionale tramite una connessione a radiofrequenza, fu snobbato sia dall’industria sia dal governo di Mosca. Era il 1957 e Ivanovic aveva inventato e costruito il primo telefono cellulare al mondo, ma nessuno lo aveva capito; nessuno era stato capace di guardare oltre fino al 1973, quando un’azienda americana, la Motorola, tirò fuori dal cilindro il suo magico giocattolo da quattromila dollari: il DynaTAC.


Era nato l’oggetto più veloce al mondo per diffusione ed evoluzione tecnologica, l’oggetto con il potere di vita e di morte su abitudini e consuetudini delle genti di ogni angolo del globo e di ogni età. Era nato il primo telefono cellulare commerciale. Da prima uno strumento per connettere tra loro luoghi remoti, capace di migliorare alcune tipologie di lavoro e di crearne esso stesso di nuove, fino alla metamorfosi da status-symbol ad oggetto di massa.

 

Oggi, secondo l’osservatorio Strategy Analytics, circolano nel mondo quasi quattro miliardi di telefoni cellulari e altrettante persone con il capo chino appiccicato allo schermo per gran parte della giornata. Ma se l’oggetto telefono, sempre più potente, tecnologicamente avanzato, sottile e irrinunciabile è il peccato; le applicazioni, i software e le comunità digitali sono la tentazione.


La tentazione di non restare isolati, perché il vero paradosso è quello di stare insieme pur stando fisicamente isolati.

Amicizie, rapporti sociali, decisioni più o meno importanti, divertimento e pseudo-cultura viaggiano nell’etere rimbalzando da un dispositivo all’altro, ingombrante come un taccuino da reporter degli anni Trenta, ma capace di far arrossire i migliori calcolatori elettronici dello scorso decennio. Così la favola dei pionieri dell’elettronica finisce rapidamente nella spazzatura dei ricordi e nomi come Charles Babbage (il matematico che nel 1791 ebbe per primo l’idea di un calcolatore programmabile), Ada Lovalace (la prima programmatrice della storia), Antonio Meucci, Graham Bell, Alan Turing, Federico Faggin (inventore del microprocessore), di Tim Barners-Lee (l’inventore di internet) e molti altri, sfumano per far posto ad etichette come: TikTok, WhatsApp, Snapchat, Printest, OnlyFans e così via; il cui vero volto è spesso rappresentato dalle boiate sempre più azzardate che gli utenti ci ficcano dentro, sperando in un successo il cui unico titolo di riferimento è la demenza da social-media.


Una demenza spesso dannosa che trascina la maggior parte di noi in mondi le cui vere anime sono più feroci ed aggressive di quanto appaiano sugli schermi dei cellulari; anime che spesso si perdono nel Mare magnum di idee, atteggiamenti e comportamenti fuori controllo per la mancanza di una seria educazione al nuovo strumento. Così, guardandosi intorno, non è difficile dedurre che il telefonino e le tecnologie ad esso collegate, se ben amministrate, sono una risorsa per offrire grandi opportunità. Sono il fulcro per nuove professioni, forme di aggregazione culturale, purché venga insegnata ai giovani la sua storia, le aspettative dei suoi fondatori e gli ideali degli uomini lo hanno inventato.


Del resto, anche un semplice martello, concepito per battere un chiodo, per costruire qualcosa se adoperato in maniera selvaggia può diventare strumento di morte.


di Mario Volpe



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