CSM, il giudice Roberto D'Auria: "La priorità è ridare sempre più eguaglianza ai cittadini"

Felice Massimo De Falco • 29 agosto 2022

CSM, il giudice Roberto D'Auria (Unicost): "La priorità è ridare sempre più eguaglianza ai cittadini"

Qual è la sua idea di giustizia giusta?


La giustizia giusta è quella amministrata da un giudice terzo, imparziale e indipendente (anche rispetto ai colleghi) che dia conto in maniera motivata delle sue decisioni che possono essere riesaminate da un diverso giudice anch’esso terzo, imparziale e indipendente. Ma una giustizia “giusta” necessita in maniera evidente di essere tempestiva; ciò non vuol dire volere decisioni superficiali ma pretendere che i tempi di definizione siano adeguati alla complessità della causa. Tempestività della decisione è tanto più importante che sia assicurata in territori in cui una inefficienza del sistema giustizia apre margini di intervento a contesti criminali che di tali inefficienze possono giovarsi.

 

- Cosa pensa di quanto ha detto Palamara del CSM?


Sicuramente le dinamiche di confronto all’interno del CSM sono state, fatta salva la condotta di singoli, nel passato anche recente, autoreferenziali, torcendo, a volte in maniera intollerabile, norme poste a presidio della efficienza per politiche spartitorie. Al di là delle singole responsabilità la vicenda ha però consentito, per chi tale peso morale ha lealmente ammesso (ed il gruppo di Unicost, rivendico con orgoglio, è stato il primo e forse uno dei pochi ad aver avviato tale riflessione e adottato misure concrete e effettive per evitare di cadere in analoghi errori), di rinnovarsi e avviare una seria riflessione sul senso dell’associazionismo.

 

Le correnti interne uccidono la giustizia?


Le correnti sono espressione di confronto di idee su cosa significhi essere magistrati e magistrati della Repubblica Italiana; in tali limiti e recuperando l’idea che l’associazione è un gruppo di riflessione su tematiche che più o meno direttamente incidono sul mondo della Giustizia, esse arricchiscono il bagaglio culturale e di consapevolezza del singolo Giudice. Il quale di tale confronto, sempre nel rispetto della Costituzione, potrà trarre elementi per fornire una risposta giudiziaria in primo luogo legittima, poi, aderente alla realtà sociale, e comunque sempre rispettosa dei principi costituzionali; in una parola una risposta “giusta” perché non “burocratica”.

 

Come si cambia il CSM?


Il CSM è fatto di uomini; di magistrati e membri laici eletti dal Parlamento. Ognuno con sensibilità diverse (i magistrati doverosamente uniti dalla consapevolezza della appartenenza all’ordine giudiziario governato dai principi costituzionali); in questo quadro il CSM dovrà recuperare la consapevolezza dell’essere organo di autogoverno di magistrati e quindi esso per primo dovrà dotarsi di normative secondarie, chiare, leggibili, dotate di intrinseca razionalità e tenere comportamenti coerenti e aderenti alle risultanze oggettive.

 

Quali temi porterà con sé?


La decisione di candidarmi su sollecitazione di colleghi della “base” del gruppo nei cui valori mi riconosco, è nata dalla volontà di rappresentare un profilo di magistrato che sempre e solo nella giurisdizione ha esercitato il suo essere Giudice.

Il cuore del mio impegno sarà rappresentare le istanze, le difficoltà, le quotidiane fatiche e l’esperienza dei tanti colleghi che, come me, indossano la toga per garantire un servizio al cittadino e rendere concreto quel potere diffuso che la Costituzione ci ha assegnato.

Ciò vuol dire in particolare che a fronte dei “risultati attesi” imposti dal PNRR su base meramente quantitativa è necessario riaffermare la centralità dei c.d. “carichi esigibili” e della loro determinazione partecipata negli uffici completandoli con una valutazione del “peso” degli affari e individuando, finalmente, veri e propri carichi sostenibili per i diversi settori.

Nel settore penale, il mio impegno sarà di preservare l’autonomia dei PM, garanzia di democrazia e rispetto del principio di uguaglianza. Quindi tutela della funzione giurisdizionale messa a repentaglio a fronte della larvata “burocratizzazione” impegno a recuperare una interlocuzione in termini di autorevolezza con il Ministero per assicurare la piena copertura degli organici ed anzi farsi promotore di un rinnovato progetto di dimensionamento delle piante organiche. 

 

- Cosa pensa della riforma Cartabia?


Per raggiungere scopi in sé meritori quale ridurre l’arretrato, abbattere i numeri, definire velocemente i processi, la riforma di recente adottata rischia però di burocratizzare e “normalizzare” il ruolo del giudice, comprimendo quella indipendenza e quella autonomia che sono garanzia ineliminabile di uno stato di diritto.

Questo pericolo nasce dal sistema di controllo del lavoro dei magistrati che finisce però per essere un controllo dei giudici, dando loro una pagella, sulla capacità di organizzare il lavoro, premiandoli per la quantità di lavoro smaltito o sanzionandoli per gli insuccessi in termini di numeri attesi. Non sono contrario a un controllo che faccia emergere aree di neghittosità o di inefficienza, pretendo però che siano tenute in considerazione le peculiarità e la complessità del lavoro giudiziario. Anche il profilo attinente alla valutazione qualitativa, necessita di una attenta opera di applicazione non potendosi ridurre in termini di tenuta dei provvedimenti nei gradi successivi, con un serio e concreto rischio di conformismo giudiziario.

Il modello di magistrato che ho in mente e che ho cercato e cerco quotidianamente di emulare è quello che manifesta rispetto rigoroso della legge e la interpreta nel rispetto della Costituzione, senza derive ideologiche e interpretazioni creazionistiche o funzionali a ideologie o visioni della società, ovvero approcci pavidi di una magistratura difensiva.

Altro profilo di criticità della riforma riguarda il ruolo attribuito al Ministero della Giustizia in ordine ad un aspetto delicatissimo, quello della programmazione organizzativa degli Uffici di Procura, potendo la previsione dio un potere di osservazione, determinare un vero e proprio corto circuito, minando il principio fondamentale che attribuisce al Ministero una funzione “servente” rispetto alla giurisdizione.

 

La detenzione preventiva è un male?


Non è corretto parlare di “detenzione preventiva” come se fosse una pena anticipata, ma di protezione dei beni collettivi di sicurezza a tutela dei cittadini.

Il sistema cautelare italiano è strutturato in maniera ampiamente idonea a bilanciare i contrapposti interessi; per intervenire a tutela della collettività quando una persona è raggiunta da indizi di colpevolezza occorre in primo luogo che si tratti di gravi reati, ma soprattutto è necessario che non si tratti di un mero sospetto ovvero di un indizio ma che gli elementi di prova raccolti siano così gravi da far ritenere che il giudizio penale perverrà alla condanna; certamente è una decisione allo stato delle indagini e caratterizzata una formazione unilaterale degli elementi a carico; ma in questo interviene a salvaguardia del cittadino sia il ruolo del nostro PM che deve in primo luogo accertare la verità, e dall’altro la natura di soggetto pienamente terzo del giudice che decide; occorre poi (e statisticamente è il caso più frequente d’applicazione) che il soggetto denoti dei profili di pericolosità che facciano ritenere concreto e attuale il pericolo che senza una misura cautelare possa reiterare la condotta.

 

- Quali sono i mali della giustizia?


La Giustizia italiana soffre moltissimo per ataviche inefficienze derivanti in primo luogo da un arretrato pesante che con grande sforzo i magistrati e tutti i soggetti coinvolti nell’apparato giudiziario stanno riducendo. Servirà però un ulteriore sforzo di cui deve farsi carico il legislatore per “alleggerire” il sistema giudiziario; prevedendo ad esempio, per il settore penale, una ampia depenalizzazione di illeciti che hanno scarsa offensività ma che sono trattati, per una scelta legislativa, allo stesso modo di complicati processi per truffe, bancarotte o omicidi.

 

È più la politica o la giustizia a non essere in sintonia con la società?


Non mi occupo di valutazioni politiche che non spettano ad un magistrato; da cittadino non posso che constatare che un po’ in tutte le democrazie moderne è sensibile il distacco con la società., società però a sua volta estremamente frammentata e a volte apertamente conflittuale. In una tale situazione è ancor più importante che il potere giudiziario non persegua il consenso; sarebbe un ulteriore passo per una deriva che non possiamo permetterci.

 

Reintrodurrà quei temi trattati dal referendum sulla giustizia giusta poi bocciato?


Alcuni dei temi proposti dai referendum sono stati recepiti dalla riforma Cartabia, sicché sul punto si tratta ormai di calare nella applicazione quotidiana, in senso costituzionale, le riforme introdotte.

 

Il magistrato che sbaglia deve essere punito così come nelle altre categorie professionali?


Già ora il sistema disciplinare della magistratura assume caratteri e estremamente incidenti sulla carriera dei magistrati, sicché è fuori fuoco la domanda, dovendosi caso mai pretendere che siano le altre categorie professionali a dover mutuare la nostra severità.

Detto ciò, credo sia necessario ribadire che comportamenti dolosi, gravemente colposi dovuti a neghittosità o superficialità, come già ora avviene, debbano essere sanzionati. Attenzione però a non attribuire al sistema disciplinare il ruolo di spada di Damocle per i tanti colleghi che, con fatica e assumendosi rischi e responsabilità che derivano dalle inefficienze del sistema giudiziario, si impegnano anche al di là delle loro forze, e così facendo a volta commettono errori o occasionalmente accumulano ritardi nel deposito dei provvedimenti. Spesso, il ritardo nel deposito della sentenza vuol dire che quel giudice ha deciso di assumere su di se l’inefficienza del sistema rifiutando una comoda via di uscita di un rinvio della causa, per consentire nel calcolo complessivo dei tempi del processo che la risposta giudiziaria, pur al lordo del ritardo, intervenga in un tempo minore di quello che vi sarebbe stato con una più “prudente” gestione del ruolo.

 

Roberto D’Auria, magistrato – Collegio 3 Giudicanti di merito (Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Marche Molise, Sardegna)

Il ‘perché’ della mia candidatura. Una premessa di contesto è d’obbligo. Dal 2019 i fatti dell’Hotel Champagne hanno fatto emergere, per alcuni, un collateralismo tra politica e giustizia eccedente quanto necessitato dallo svolgimento delle funzioni di consigliere di CSM.

Ciò ha consentito alla politica, in una immanente tensione che riguarda in maniera preoccupante tutto l’occidente, di intervenire sulle norme di ordinamento giudiziario, non però in un’ottica, pubblicizzata sì, ma mai in concreto attuata, di miglioramento del servizio. La riforma appena approvata, nonostante i tentativi della magistratura di segnalarne i pericoli “intrinseci” per la giurisdizione, rende molto concreto il rischio di una “sterilizzazione” della indipendenza e autonomia del magistrato. E’, per questo, nello spirito di fondo che la anima, una riforma intrinsecamente incostituzionale oltre che assolutamente inutile per migliorare la risposta alla domanda di giustizia.

La mia candidatura si inserisce in questo quadro, in cui il nuovo Statuto di Unità per la Costituzione – attraverso un reticolo di incompatibilità – richiede il contributo attivo dei colleghi che finora si sono impegnati nel lavoro, e non direttamente sul fronte associativo e istituzionale.

Nel contesto nel quale ci troviamo ho dunque maturato una disponibilità, per me totalmente inaspettata, superando la mia egoistica ritrosia ad impegni rappresentativi. La disponibilità a mettermi in gioco ed a rappresentare i colleghi alla luce dell’esperienza che, non solo per miei meriti, ho acquisito nel corso di questi anni.

Spero di poter portare le difficoltà e le fatiche dei magistrati, che conosco per averle vissute in uffici piccoli e grandi, al CSM, per lì poter decidere conoscendo il lavoro concreto di ogni magistrato, l’impegno e il sacrificio, personale e anche familiare, per garantire una giustizia giusta. 


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