La scuola, i docenti d il gap generazionale - di Mario Sorrentino

Mario Sorrentino • 22 luglio 2023

Un tempo, assoggettarsi al potere indiscusso dell’insegnante consentiva comunque di raggiungere un premio finale che andava dal posto in banca a quello in fabbrica. Oggi il credito sociale dell’insegnante si conquista con una professionalità che è diversa da quella di cinquant’anni fa. Fortunatamente molti insegnanti e molte insegnanti l’hanno raggiunta perché, se così non fosse, la scuola sarebbe già implosa, mentre qui ci troviamo a commentare casi isolati di cui, in verità, sappiamo molto poco.

di Mario Sorrentino*


Gli studenti e le studentesse, così come le famiglie e la nostra società, sono cambiate. Sono sempre più abituate a godere di diritti che sono persino inscritti nella legislazione vigente.

I giovani non sono più in sintonia con le aspettative dei propri genitori e del corpo sociale, sospinti come sono da una contrapposizione, con cui si vive e si convive. Interessi diversi e stili di vita differenti si ripresentano con sempre maggiore frequenza man mano che il flusso del tempo accelera ed abbrevia la distanza tra le forme successive di una condizione umana in rapido cambiamento, creando e allargando per tale via le zone d’ombra e di silenzio tra le generazioni.


Sono tuttavia anche cambiati gli insegnanti, sempre meno selezionati da concorsi, formati da università online sulle quali occorrerebbe aprire una seria riflessione, e tutelati da una magistratura del lavoro molto benevola anche quando la normativa consentirebbe di affrontare i casi spinosi degli incapaci, percentualmente pochi, ma visibili e molto dolorosi. Vale la pena ricordare l’art. 512 “Dispensa dal servizio” del Testo Unico della scuola (1994), nel quale si legge che il personale docente è dispensato dal servizio per persistente insufficiente rendimento. Ha destato scalpore l’unico caso che io conosca, recentemente emerso, di applicazione di questo articolo, avvenuta nel caso di un’insegnante che dava voti a caso dopo avere lavorato per quattro anni sui ventiquattro di servizio formale.


Questa insegnante, peraltro, aveva vinto in primo grado.

In buona sostanza, occorre interrogarci sempre con maggiore attenzione, quando certi episodi di insubordinazione assurgono agli onori della cronaca, quanto questa sia da attribuire alle nuove generazioni rimbambite dalle tecnologie (mentre la mia generazione era rimbambita dalla musica Rock, dall’uso dello walkman e dalla televisione) e quanto questa sia da attribuire ad adulti che non sono stati sufficientemente professionlizzati sul fronte della didattica inclusiva, che ignorano gli elementari principi delle dinamiche di gruppo, che non sono in grado di contenere tecnicamente i disturbi oppositivi perché si pongono in maniera stereotipata nei confronti della problematica, che non sono esperti di apprendimento né di neuroscienze né di psicologia dell’età evolutiva, e quindi non sono in grado di coltivare il desiderio di apprendere e la curiosità naturale dei giovani che appassisce o si trasforma in frustrazione per degenerare più spesso nella depressione e nei disturbi alimentari che non vede nessuno, piuttosto che nella violenza che assurge agli onori della cronaca.


E ben poco può servire una riforma vera delle strategie educative, per quanto brillante e vasta possa essere, soprattutto in mancanza e con l’assenza della famiglia, non più agenzia privilegiata educativa. In tal modo, i giovani si mostrano disinteressati, rivelando disimpegno, trasferendo le regole, ponendosi in atteggiamento conflittuale, considerando solo il gruppo dei pari e non già la scuola e la famiglia luoghi di convivialità, di abilità comunicative, di apertura mentale e di curiosità, valori tutti in grado di arricchire la qualità dei contesti in cui vivono. A scuola, i ragazzi pensano non al docente come al trasmettitore del sapere, che insegni loro a camminare su una strada affollata e che offre una conoscenza operativa, diversa dalla conoscenza fattuale degli educatori ortodossi di un tempo. E così essi mettono in discussione la famiglia, la società, la scuola.


Eppure con opportune gratificazioni e con l’incoraggiamento al quale i giovani anelano perché cercano punti di riferimento fuori dalla famiglia, si potrebbero raggiungere grandi risultati. Occorre quindi evitare di affidarsi solo a feedback frustranti quali il voto numerico (si pensi al potere trasformativo della valutazione educativa attivata nella scuola primaria coi giudizi descrittivi), e ampliare lo spettro dell’offerta didattica entro quella che valorizzi l’attivismo al quale i/le giovani sono naturalmente portati, mentre sono troppo spesso inchiodati sul banco per sei ore al giorno.


Un tempo, assoggettarsi al potere indiscusso dell’insegnante consentiva comunque di raggiungere un premio finale che andava dal posto in banca a quello in fabbrica. Oggi il credito sociale dell’insegnante si conquista con una professionalità che è diversa da quella di cinquant’anni fa. Fortunatamente molti insegnanti e molte insegnanti l’hanno raggiunta perché, se così non fosse, la scuola sarebbe già implosa, mentre qui ci troviamo a commentare casi isolati di cui, in verità, sappiamo molto poco.


*Già Dirigente scolastico

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