Pomigliano, quali fattori giocheranno opinione pubblica e identità?

Francesco Cristiani • 1 aprile 2023

L’ultimo sindaco democraticamente eletto, prima della parentesi fascista, è stato Ercole Cantone. Siamo nel 1925. Per tutto il ventennio di regime totalitario non ci furono elezioni, c’era un podestá di nomina governativa. Solo dopo lo sconvolgimento della guerra, nel 1946, Pomigliano venne nuovamente chiamata al voto comunale. E il primo sindaco democraticamente eletto fu di nuovo Ercole Cantone. Un ritorno al passato, dopo lo sconvolgimento bellico che aveva stravolto tutti, ma proprio tutti, gli aspetti della vita individuale e collettiva. Ebbene, Come se nulla fosse successo, Pomigliano tornò al vecchio. O forse si potrebbe pensare che tornò al vecchio proprio perché erano successe troppe cose.


Qualcuno ha definito quelli di oggi, tempi fragili, come per indicare qualcosa che non dura a lungo. Gli esperti si chiedono spesso quanto ancora possa contare oggi il voto d’opinione. Che poi significa voto di appartenenza, quando l’elettore si identifica con una struttura sociale che ne riproduce gli interessi, la cultura, i sentimenti, e che finisce per intercettarne il consenso.


La domanda ha un suo senso anche a Pomigliano, dove le dinamiche elettorali però da sempre denotano aspetti particolari. Nel senso che quell’appartenenza di cui sopra ha sempre giocato un ruolo importante.

Per rendersene conto c’è un dato della storia politica di Pomigliano in qualche modo emblematico, sicuramente singolare.

L’ultimo sindaco democraticamente eletto, prima della parentesi fascista, è stato Ercole Cantone.  Siamo nel 1925. Per tutto il ventennio di regime totalitario non ci furono elezioni, c’era un podestá di nomina governativa. Solo dopo lo sconvolgimento della guerra, nel 1946, Pomigliano venne nuovamente chiamata al voto comunale.


E il primo sindaco democraticamente eletto fu di nuovo Ercole Cantone. Un ritorno al passato, dopo lo sconvolgimento bellico che aveva stravolto tutti, ma proprio tutti, gli aspetti della vita individuale e collettiva. Ebbene, Come se nulla fosse successo, Pomigliano tornò al vecchio. O forse si potrebbe pensare che tornò al vecchio proprio perché erano successe troppe cose.


Colpisce che nessuno storico locale abbia mai dedicato un approfondimento a questo episodio.

Tornando al tema, certo da allora sono passati quasi ottant’anni, ed è difficile provare a tracciare una ipotetica linea di rotta che potrebbe essere valida ancora oggi.


Per cui, vale la pena interrogarsi su quale identitá possa oggigiorno ritenersi permanente e condizionate sul voto. E, ad avviso di chi scrive, sarebbe troppo riduttivo semplificare il tutto a schemi di appartenenza familiari o a minuscoli gruppi di interessi o poteri (più volgarmente, clientele). Perché legámi del genere non sarebbero sopravvissuti fino ai tempi attuali, avrebbero trovato nuovi equilibri finendo per disporre diversamente le pedine sulla scacchiera politica. E invece, a quanto pare, dopo la scellerata esperienza del sindaco papirologo, gli attori politici schierati in campo sembrano preludere a una riedizione della dinamica del dopoguerra.


Quale identitá retrostante ne è l’ispiratrice? Ci sarebbe da pensare che l’unica possibile sia quella autenticamente pomiglianese. Il sentirsi di Pomigliano. Una appartenenza non solo anagrafica ma identitaria che, in occasione elettorale come quella amministrativa, oggi come ieri si fa sentire sempre forte, nel senso che diventa opinione al pari di una sorta di ideologia. L’ideologia di chi si identifica con le sorti della propria cittá, più che con quella delle bandiere.


di Francesco Cristiani

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