Covid, dalla Cina ritorno alle origini

Mario Volpe • 4 gennaio 2023

Covid, dalla Cina ritorno alle origini

Quando si esagera a cena gli incubi sono assicurati e la metafora con la pandemia da Covid19, che ben presto potrebbe diventare Covid23, è quanto mai allineata.

Dopo oltre due anni di restrizioni, mascherine nei luoghi chiusi, di lavoro e didattica a distanza, per non parlare delle diatribe sulle vaccinazioni e le strampalate teorie diventate la linea di frontiera tra pro-vax e no-vax, la calma sembrava alle porte. Magari, è pur vero che gli esperti fanno ancora pressione sulla quarta dose per i fragili ma lo è altrettanto che si è ritornati a respirare liberamente, a festeggiare, insomma a riprenderci la vita normale come se il virus, che ha ucciso milioni di persone in tutto il mondo, fosse stato solo il tema di un bel fil di fantascienza. Si è passati da zero libertà a cento, senza nemmeno accorgercene. Si è cenato pesante e gli incubi notturni sono ritornati come è ritornato preponderante l’infezione da COVID esattamente dal paese da cui ha avuto origine: la Cina.

 

Il presidente Xi Jin Ping, per non ricadere nell’errore di Wuan, ha iniziato la politica di zero COVID facendo affidamento su quarantane estreme, isolamento immediato e controllo della popolazione. Un po' meno sui vaccini, dal momento che il Sinovax –il siero cinese contro l’infezione– si è rivelato inefficace fin da subito. Ma i dirigenti del dragone non si sono persi d’animo, hanno venduto i loro antidoti ai paesi dell’Africa e del Sud America recuperando (certamente guadagnando) gli investimenti fatti. Intanto, per tenere le attività produttive aperte non restava che limitare il contagio osservando metodi tradizionali e imponendo lunghe quarantane a tutti coloro che –fino a poco tempo fa– mettevano piede in Cina. Una politica autoritaria per la sicurezza della popolazione, se non fosse che la contraddizione del governo cinese si è espressa sempre ai massimi livelli.

 

Dopo aver abrogato le restrizioni zero Covid, per le continue proteste della popolazione, i contagi sono riesplosi in pochissimo tempo, innescando le contromisure dei molti paesi stranieri che hanno imposto un tampone a tutti i viaggiatori provenienti dalla Cina. Subito il governo di Pechino si è ribellato all’iniziativa, dimenticando la trafila che quello stesso governo imponeva a chi entrava nel paese. Prima d’imbarcarsi su un aereo era d’obbligo un tampone molecolare negativo non oltre le settantadue ore dalla partenza, un tampone rapido all’imbarco e uno all’arrivo. S’imponeva, infine, la quarantena in un centro COVID per cinque giorni in totale isolamento e solo dopo un ulteriore tampone negativo al termine del soggiorno forzato si poteva raggiungere liberamente, si fa per dire, la destinazione finale.

Una pratica di restrizione delle libertà individuali imparagonabile ai testi di controllo che il governo italiano ha imposto ai visitatori cinesi di rientro nel nostro paese e malgrado più di un terzo dei passeggeri sia risultato positivo al virus il disappunto di Pechino non si è fatto attendere. 


Un intollerabile arroganza da parte delle autorità cinesi che stanno tentando di ribaltare le responsabilità di una nuova possibile ondata d’infezione su altri paesi, iniziando dal secretare i dati sulla diffusione e sulle ospedalizzazioni causa COVID. I numeri, che trapelano attraverso i social media, i canali commerciali e gli stralci di stampa ancora non censurati, parlano di duecento quarantotto milioni di cinesi contagiati, circa uno su cinque, con la conseguenza di poter assistere a nuove mutazioni che potrebbero trascinarci nell’incubo degli anni passati.

Intanto mentre nel nostro paese ci ritroviamo difronte molti casi di reinfezioni la Cina tenta di nascondere ancora il problema più che condividerne le soluzioni.

 

(Mario Volpe)


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