La Generazione Z , mutilati sensoriali dati in pasto alla modernità

Mario Volpe • 10 giugno 2024

Nelle relazioni a distanza c’è un’ipertrofia della vista e dell’udito che ha tagliato fuori l’altra metà dei sensi, che nei soggetti più sensibili rischiano l’annichilimento e la deriva verso problemi comportamentali e, nei casi più gravi, depressivi. Lo strumento tecnologico in sé non è responsabile della trasformazione sociale e degli abbattimenti emotivi, ma è il suo utilizzo irresponsabile che scivola verso una dipendenza sempre più forte. Non è, quindi, un caso che le manifestazioni di depressione giovanili ­– nella fascia tra i tredici e i diciotto anni ­– siano aumentate dopo le restrizioni per il contenimento della pandemia da Covid19, durante la quale è stato fatto un uso massivo dello strumento social.

di Mario Volpe - Scrittore


Dopo la Z non resterà che riavvolgere il nastro, iniziando dalle origini. Dalla prima lettera: la A per l’appunto. Ma se si usa l’alfabeto come TAG (in gergo social) per definire gli scaglioni generazionali allora riavvolgere potrebbe non essere così semplice. Del resto, semplice non lo sarà per quelli della generazione X – ossia per i nati tra gli anni ’60 e ’70 – di cui quelli della Z sono e saranno eredi di debiti sociali, morali, comportamentali, nonché delle paure e dell’incapacità di instaurare vere e proprie relazioni umane basate sulla dialettica, sulla gestualità e la mimica d’espressione; oggi rimpiazzate dalle chat, dal virtuale, dalle perenni connessioni che legano in nostri giovani in una rete di presenze che apparentemente possa proteggerli dalla solitudine, ma che in realtà li lega a un paradosso.


Paradosso, per alcuni versi quasi inspiegabile, dove più si è connessi e più si è fragili. Ed ecco trovato uno dei responsabili dei disagi, delle ossessioni e depressioni giovanili, una belva a cui noi della X abbiamo dato in pasto i nostri figli, pensando che le tecnologie concepite agli inizi del secolo scorso ci avrebbero semplificato la vita senza pensare alle conseguenze di un’esistenza legata a una continua finzione. È questa, la continua finzione, che gravita sui social, capace di spostare completamente il punto di vista da un mondo reale a un mondo solo di stimoli visivi e sonori, manchevole del tatto e dell’olfatto, che trasforma gli ipertecnologici in mutilati sensoriali, denaturalizzando la completa percezione del cervello tarato sull’interoperabilità dei sensi da millenni di evoluzione.


Nelle relazioni a distanza c’è un’ipertrofia della vista e dell’udito che ha tagliato fuori l’altra metà dei sensi, che nei soggetti più sensibili rischiano l’annichilimento e la deriva verso problemi comportamentali e, nei casi più gravi, depressivi. Lo strumento tecnologico in sé non è responsabile della trasformazione sociale e degli abbattimenti emotivi, ma è il suo utilizzo irresponsabile che scivola verso una dipendenza sempre più forte. Non è, quindi, un caso che le manifestazioni di depressione giovanili ­– nella fascia tra i tredici e i diciotto anni ­– siano aumentate dopo le restrizioni per il contenimento della pandemia da Covid19, durante la quale è stato fatto un uso massivo dello strumento social.


Strumento, che male amministrato, potrebbe inaridire sempre più le capacità emotive e di espressione delle future generazioni. Uno scenario ben illustrato dalla dottoressa Simona Visone ­– Assessore alle politiche scolastiche, della formazione e della cultura nel Comune di Casalnuovo di Napoli– nonché psicologa dell’età evolutiva, che sottolinea l’attuale incapacità dei giovani di riuscire a “dire” rispetto a un eccesso di parole. Parole che viaggiano sparate tra gli schermi degli smartphone e che hanno in sé poca sostanza. La mancanza del colloquio verbale, sottolinea Simona Visone, è corresponsabile dell’attuale condizione di disagio comportamentale. I ragazzi hanno paura di uscire dalla Caverna di Batman, nella quale si sentono protetti dagli attacchi del mondo esterno, ma in cui noi genitori, per mera comodità gli abbiamo fornito una chiave, mettendo nelle mani di un bambino ­– addirittura in età prescolare – il luccichio di un telefonino.


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