Morire per sentirsi vivi, l'eutanasia e Italia

Giovanni Passariello • 3 marzo 2023

Morire per sentirsi vivi, l'eutanasia in Italia

“Il mio corpo è diventato una gabbia. Non sono più autonoma a nessun livello, tranne che nei miei pensieri”. Così ha scritto Paola R., una donna di 89 anni di Bologna affetta da Parkinson, in una recente lettera. L’8 febbraio ha ricevuto un aiuto medico che ha posto fine alle sue sofferenze, ma per farlo ha dovuto affrontare un costoso viaggio in Svizzera. Felicetta Maltese e Virginia Fiume, le due donne che l’hanno portata lì, sono andate a autodenunciarsi dalla polizia, al loro rientro in Italia. Rischiano da 5 a 12 anni di carcere.


L’eutanasia attiva, presente in alcuni paesi europei e nel mondo, si realizza quando un medico somministra un farmaco letale al paziente. In Italia non è consentita. Il malato può tuttavia rifiutare la terapia o interromperla, con conseguente morte. Solo dal 2019, il suicidio assistito è possibile anche in Italia a condizioni rigorose. In alcuni casi, quindi, il paziente può ricevere assistenza a morire autosomministrandosi un farmaco letale.

Le “condizioni rigorose” riguardano la piena consapevolezza del paziente circa la sua decisione. Ci deve essere una sofferenza insopportabile e una malattia irreversibile, e il malato deve dipendere da sostegno vitale. Se queste condizioni non sono soddisfatte, il suicidio assistito è ancora punibile fino a dodici anni di carcere. I medici che somministrano un farmaco letale ai pazienti rischiano fino a quindici anni di carcere.


In Italia l’Associazione Luca Coscioni, con il suo leader Marco Cappato, si è resa disponibile da anni ad accompagnare i pazienti che lo richiedono in Svizzera, dove la legislazione consente il cosiddetto “fine vita”, dignitoso e senza sofferenze indicibili, proprio perché la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale rende senza speranza le richieste dei pazienti per ottenere assistenza a morire. Nei Paesi Bassi, ad esempio, due terzi delle richieste di eutanasia provengono da malati terminali di cancro, che non dipendono da un sostegno vitale che li mantenga in vita. In Italia, quindi, non sarebbero ammissibili al suicidio assistito. Il suicidio assistito è una pratica comune in Svizzera, ma costa parecchio. I pazienti devono pagare da 10.000 a 12.000 euro per il viaggio e per il loro ricovero. Solo una piccola élite ha quindi accesso a un fine vita dignitoso.


Ma quanti sono gli italiani che vorrebbero l’eutanasia o il suicidio assistito ogni anno? Alla luce di un calcolo sulla popolazione si può parlare di circa di circa ventimila persone all’anno. Nei Paesi Bassi, ad esempio, sono 7.666 persone hanno richiesto il suicidio assistito o l’eutanasia nel 2021, e l’Italia ha 3,3 volte più abitanti. Inoltre, gli italiani che vogliono solo informazioni è due o tre volte più grande. Queste sono persone che alla fine potrebbero non scegliere l’eutanasia, ma si sentirebbero più tranquille se sapessero di avere la possibilità di scelta.

L’attacco a Marco Cappato e a chi si batte perché l’Italia possa avere una legislazione dignitosa sul e di rispetto sul “fine vita” è sempre stato un attacco frontale, che, per fortuna non spaventa, essendo sostanzialmente un dibattito sano. Purtroppo su questo tema il silenzio è molto più brutto. Questa è la strategia che gli avversari del “fine vita” preferiscono scegliere. I segretari di partito di destra e di sinistra stanno facendo tutto il possibile per evitare un dibattito in Parlamento e i media italiani li stanno assecondando. In televisione, tanto per fare un raffronto, ai segretari di partito non viene chiesto di spiegare la loro posizione a riguardo, non c’è confronto di idee e opinioni su questo tema in Italia.


A questo punto ci si pone una domanda: quanto conta l’influenza del Vaticano dal momento che in Italia sussistono ancora troppo cattolici in questo campo? I sondaggi indicano costantemente che otto italiani su dieci sono favorevoli alla legalizzazione dell’eutanasia. L’ostilità è con le classi regnanti, con i partiti, con i media, con le grandi strutture di potere. Il Vaticano non può essere incolpato per il fatto che l’eutanasia attiva non è possibile in Italia, questa è una responsabilità delle parti. Sulla base di sondaggi, che evidenziano che l’80% degli italiani non sono contro l’eutanasia, c’è da sottolineare, di conseguenza, che i cattolici non sono necessariamente contro l’eutanasia.

Grazie alle grandi battaglie di Marco Pannella e dei radicali la pillola è legale, così come l’aborto, anche se l’accesso è ostacolato. L’Italia non è il paese laico più aperto e avanzato, eppure importanti libertà individuali sono state conquistate. Il divorzio è diventato legale nel 1970, l’aborto nel 1978 e dal 1982 un cittadino italiano può legalmente cambiare sesso. Ma purtroppo l’eutanasia non è tra queste.

Valgono le parole che Marco Cappato ha recentemente detto in una intervista: “Nel 2017 ho accompagnato Fabiano Antoniani, noto come DJ Fabo, in Svizzera. Fabo era cieco e paralizzato. Era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitali. In Italia, qualcuno nelle sue condizioni può ora ottenere legalmente l’assistenza a morire, senza dover andare all’estero. Penso che Fabo sarebbe felice che la sua lotta abbia raggiunto questo obiettivo. Le persone che ho accompagnato non erano disperate. Ricordo il loro buon umore, le loro battute e la loro ironia. Si sentivano come se avessero compiuto la loro vita ed erano sereni. Avere a che fare con queste persone speciali mi ha insegnato molto sul nostro rapporto con la morte”.


di Giovanni Passariello


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