Pomigliano, alla sinistra non serve un facilitatore ma un demiurgo pop
Serve un processo di despiritualizzazione, uno svuotamento delle contraddizioni, chiarezza espositiva, libertà da una ostentata alienazione. Alla sinistra serve un demiurgo popolare che sappia coniare il destino di una classe dirigente, avvolgere i fili del discorso pubblico e farne unica matrice e sappia interloquire con la gente comune, men che mai un facilitatore che metta assieme i cocci sparsi. Manca poco al 14 maggio. Siete persone capaci, rendiamo questo battage la festa del consenso.
“Cè confusione sotto al cielo, dunque la situazione è eccellente” ci risponde quel figlio di Mao di Antonio Avilio di Rinascita, ragazzo in gamba, alla nostra domanda su cosa succede a sinistra. E’ una maniera disinvolta per comunicare che c’è aria di afasia e pressapochismo da quelle parti, abdicazione politica di una classe tagliata fuori dai suoi rovelli interiori e dalla difficoltà a trovare un segno geometrico chiaro ad una coalizione ed ad un candidato a sindaco che dovrà vedersela con chi mangia pane e politica da ragazzino.
Nel recinto di sinistra oggi è esposto il Museo delle Cere: un fosco scenario di immobilismo figlio di una classe politica taglieggiata sia dai suoi errori di valutazione sulla possibile grandeur di Del Mastro che avrebbe dovuto aprire un ciclo politico nuovo (ma poi il grillismo ministeriale è fallito), non si sa quali basi poggiato, sia perché molti pezzi da 90 sono corsi ai ripari sotto il mantello più protettivo di Lello Russo.
La falsa coesione porta alla stasi e a rifarsi ad allusioni “surreali” come la presenza del malaffare (smentita), degli abusi di potere non tiene conto del discredito popolare che ogni giorno cresceva attorno a quel suk di chincaglierie che era diventato il Laboratorio. Questa moralità simulata ha il solo scopo di dotarsi di attrezzi argomentativi per frenare il fallimento. Le ricostruzioni accusatorie lasciano il tempo che trovano in politica, poi serve guardare avanti ed avere un progetto più forte del precedente se si vuol stare sul sismografo elettorale con dignità. Allora è bene farsene una ragione: non è stato il “golpe degli ottimati”, il Laboratorio è morto per dissolvimento morale perché non aveva nulla più da dire dal giorno del Voltiamo pagina ad oggi ed era retto da un messaggero eterodiretto che con un aura professorale non c’entrava niente con la politica.
Il risultato è che la sinistra oggi è monca di classe dirigente, così come possiamo dire anche delle altri parti in gioco, ma almeno quest’ultimi ha una direzione, un obiettivo, un’identità che cresce attorno ad una figura carismatica, l’uomo che si pensava di aver crocifisso e tumulato. I sopravvissuti all’implosione del governo giallo-rosso attendono di fare di questo passato una stretta parentesi. Non c’è da meravigliarsi ormai delle mescolanze di uomini e simboli, la politica è una manciata di coriandoli, un puzzle che si compone sulle idee contrapposte, è un’altalena di sensibilità differenti che hanno bisogno di autorevolezza per farsi sintesi.
Ciò che è mancata alla sinistra e, se vogliamo, a tutta la socialdemocrazia europea, oggi in netta crisi. Se vuole rientrare in corsa deve mettere a tacere le sue turbe giacobine, le sue pose robesperiane, l’individuazione del “nemico”, la vetusta voglia di dare in pasto alla gente meno avveduta i precetti del “miglior mondo possibile”, la condanna bizzarra dei costumi altrui, a trattare il diversamente altro come un reprobo.
Non sarete voi le vestali del buon governo fin quando non vi libererete di quella spocchiosa superiorità morale. Né se perseverate nell’antitesi di Pareto tra elitè e masse. La paura della discesa politica alla quale sta andando incontro la sinistra, spinge alla creazione di un bersaglio contro cui scaricare i risentimenti. Serve un processo di despiritualizzazione, una liberazione dai lacciuoli delle ideologie statiche, uno svuotamento delle contraddizioni, chiarezza espositiva, libertà da una ostentata alienazione. Alla sinistra serve un demiurgo popolare che sappia coniare il destino di una classe dirigente, avvolgere i fili del discorso pubblico e farne unica matrice e sappia interloquire con la gente comune, men che mai un facilitatore che metta assieme i cocci sparsi. Manca poco al 14 maggio. Siete persone capaci, rendiamo questo battage la festa del consenso.
Redazione