Spalletti, l'ascesa dell'uomo venuto dalla gavetta

5 maggio 2023

Il più creativo e brillante tra gli allenatori venuti dal basso, senza blasoni in valigia, capace di calpestare le aree tecniche in Europa. Il suo ruolo fondamentale nella vittoria dello scudetto del Napoli 

Le sue squadre giocano sempre un gran bel calcio, le sue tifoserie presto o tardi finiscono per detestarlo. Le sue 'rose' vincono o arrivano spesso tra le prime, le sue 'curve' non riescono a volergli bene più di tanto. Per non parlare delle tribune stampa: coi giornalisti lui entra in competizione il primo giorno di ritiro, alla fine del girone d'andata è in genere guerra fredda



Strano destino, quello di Luciano Spalletti da Certaldo, sacerdote più che tecnico del Napoli campione d'Italia, forse il più creativo e brillante tra gli allenatori venuti dal basso senza blasoni in valigia che calpesta le aree tecniche in Europa. Lui scova o crea talenti, diverte e fa segnare non solo gli attaccanti, col suo gioco a due tocchi, calciatori che corrono come matti senza palla per trovarsi al posto giusto al momento giusto senza che gli avversari si accorgano di nulla.

Lui garantisce ricche plusvalenze ai direttori sportivi con i quali lavora. Macina record di risultati utili consecutivi facendo la gioia degli statistici. Poi, a fine stagione, anche con un secondo, un terzo, o un quarto posto in cascina, viene messo in discussione. Dalle piazze prima ancora che dalle società.


Fino a oggi Spalletti è stato un Ferguson a metà: ha vinto tanto (ormai una qualificazione Champions vale un trofeo), ma è durato poco. Il tempo di impiantare un ciclo e vederlo declinare dopo due o tre anni senza un reale motivo sportivo, senza alcun fallimento in classifica o in bilancio. Semplicemente, si rompe l'idillio. Con i 'senatori' dello spogliatoio che mal digeriscono i suoi allenamenti doppi, con l'ambiente, che è quello strano non luogo del calcio, fatto di umori dei tifosi, gradimento dei media e feeling con i calciatori. Fino ad oggi.


Luciano Spalletti, 64 anni, appassionato praticante di vini e di padel, è un genio della tattica, gran maestro di geometria applicata al rettangolo verde, capace come pochi di fare rendere ogni calciatore in rosa il 110% delle proprie capacità. Un esempio in questo Napoli meraviglioso? Juan Jesus, difensore centrale, scartato dall'Inter una decina d'anni fa, e rimasto in panchina un lustro alla Roma, oggi questore autorevole della linea mediana.


L'estate scorsa la società di De Laurentis, col benestare dell'allenatore, ha tratto grande profitto dal mercato estivo vendendo semi-top player molto amati dalla gente, Lorenzo Insigne e Dries Mertens su tutti, ma anche Kalidou Koulibaly e Fabian Ruiz. Sono arrivati al loro posto giocatori sconosciuti al grande pubblico, almeno in Italia, e il Napoli ha preso a pallate anche tante Grandi d'Europa, vincendo lo scudetto con sei giornate d'anticipo per manifesta superiorità.

Il prestigiatore toscano ne ha fatta un'altra delle sue e tu li' a chiederti: ma uno così perché non ha vinto anche a Roma (in due periodi diversi) o all'Inter, perché non lo hanno preso Juventus o Milan, Bayern o Chelsea per tenerlo un ventennio? Perché grandi club hanno rinunciato a lui quando si è trattato di fare il grande salto, di puntare dichiaratamente allo scudetto o alla Champions?


Per via del brutto carattere, del suo narcisismo tendente al vittimismo che funziona poco in televisione? Ma dai, quanti allenatori egoriferiti conosciamo, che pero' durano e conquistano i cuori dei tifosi.

Con i top-player entra in rotta di collisione, dicono gli storici, perché pretende assoluta fedeltà ai suoi dettami e nessuna fuga in avanti stilistica (storiche le su bacchettate a Francesco Totti per le sue soluzioni di tacco e di punta). E allora i Capello, i Conte, gli Allegri, sono forse meno cattivi con gli indisciplinati? No, Spalletti non era un allenatore super top perche' antipatico o eccessivamente competente, non e' questo il motivo. Ma fino ad oggi e' andata cosi': numero uno tra i numeri due. 


Eppure i numeri complessivi, i suoi da allenatore, sono impressionanti. Oltre mille volte in panchina, oltre 540 in Serie A: 279 vittorie, 130 pareggi e 136 sconfitte. Settantatré presenze in Champions League, con 34 vittorie, 15 pareggi e 24 sconfitte. Ha portato alla qualificazione nella massima competizione europea Udinese, Inter, Roma e Napoli. Con la Roma ha vinto 2 Coppe Italia (2006/2007 e 2007/2008) e una Supercoppa italiana (2007).

All'estero ha portato a casa due campionati con lo Zenit San Pietroburgo tra il 2010 e il 2012. In Italia ha guidato anche Empoli (la sua squadra da calciatore), Sampdoria, Ancona e Venezia. Con risultati molto meno rimarchevoli di questi Lippi ottenne la panchina della Juventus, Allegri quella del Milan. Fino ad oggi la storia di Luciano Spalletti è stata quella di un bravissimo allenatore, docente di attacco degli spazi, esperto mondiale di cambi di modulo in corsa, ma mai super coach di team europei.


Ma oggi lo scudetto a Napoli conquistato con una brigata improvvisata a meta' estate cambia tutto. Grazie alla magia del 'Maradona' il piu' bravo è diventato lui, nessuna riserva è più ammissibile. Ha vinto, giocando bene, cambiando mezza squadra 10 mesi fa, senza follie di mercato e tenendo in rosa gli 'scarti' di altri. Il nuovo Mago è lui, potenziale Ferguson di un grande club alla conquista d'Europa e di pagine di storia. Numero uno, tra i numeri uno. Portato in trionfo dai suoi calciatori e da una città impazzita di gioia, finalmente amato da tutti.

Il grande club? C'è già, questo Napoli che ha sempre creduto in lui, anche quando ha dato l'ok a lasciar partire le stelle tanto amate, anche dopo i primi screzi col presidente. Il Napoli di Spalletti è da oggi ufficialmente la squadra da battere. Un nuovo ciclo, stavolta potenzialmente lungo, è forse appena cominciato. Fonte Agi

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