Giovani e lavoro, stiamo crescendo la Generazione del "tutto e subito"

Vera Dugo Iasevoli • 6 giugno 2024

Una volta un attore, un cantante, un ballerino, arrivavano alla notorietà dopo anni di studio ai conservatori o alle accademie.

Infatti i ballerini di varietà provenivano quasi sempre da studi di danza classica, dalla quale in seguito erano approdati a quella moderna.

I cantanti avevano, in genere, studiato canto o musica e, se provenivano da famiglie semplici o umili e non si erano potuti formare prima, avevano la grossa umiltà di mettersi a studiare dopo, quando erano magari già famosi, per migliorarsi sempre più. Oggi vogliamo subito "arrivare", bypassando la tortuosa via della gavetta.

di Vera Dugo Iasevoli


Posso permettermi di dissentire con un pensiero di Umberto Galimberti?

Il grande filosofo e scrittore dice testualmente: «Einstein ha scoperto la sua formula a 24 anni. Non quando ne aveva 60. Leopardi ha scritto «L’Infinito» che ne aveva 21. Ti immagini oggi uno che ha 21 anni e scrive «L’Infinito»?  Allora c’è una decadenza reale, no? E perché?  Perché noi i giovani non li "usiamo!" Gli facciamo fare fotocopie, i lavori a co co co, i lavori a progetto, i lavori in affitto… Ma hanno il massimo della potenza creativa a quell'età...».

E’ giusto quello che dice Galimberti, ma egli porta come esempi esclusivamente dei geni assoluti e un giovane si può rivelare un “Genio” in qualunque campo dello scibile umano o dell’arte.


Guglielmo Marconi, a soli 20 anni, aveva già compreso e sperimentato la possibilità della comunicazione a distanza senza fili, che all’epoca appariva come una assurdità. Michelangelo realizzò la “Pietà” vaticana a poco più di 21 anni e Mozart iniziò a suonare il piano a 3 anni e a comporre musica e tenere concerti a 5; Artemisia Gentileschi dipingeva talmente bene già a 16 anni, che l’attribuzione dei suoi primi quadri viene assegnata al padre, pittore affermato, ritenendo impossibile che una “donna”, per giunta tanto giovane, potesse essere in grado di realizzare tali opere d’arte; e che dire di Raffaello, che si mostrò talmente bravo agli occhi del padre, all’epoca rinomato pittore, che il genitore non si sentì in grado di tenerlo ancora  come allievo alla sua bottega, dove non avrebbe saputo né potuto insegnargli qualcosa in più, rispetto a ciò che il figlio sapeva già fare, e lo inviò ad appena 15 anni ad affinare le sue eccezionali capacità nella bottega del celeberrimo e bravissimo Pietro Perugino.


Ma, l’elenco di uomini e donne che, precocemente, già da giovanissimi, si sono rivelati delle personalità di spicco nel mondo dell’arte, della letteratura, della poesia, delle scienze, della musica, è senz’altro vastissimo e potrebbe continuare. Tuttavia, essi sono considerati, tutti, delle persone eccezionali, fuori dal comune, cioè, appunto, dei: “Geni”.

Pertanto, non si può fare un paragone tra essi e la maggior parte dei giovani che, invece, sono individui: “normali” (termine oggi tanto bistrattato e quasi demonizzato in quanto inteso con un’accezione negativa,  ma che io uso metaforicamente in questo contesto, solo per indicare coloro che non si possono definire: “Geni”).


Dunque, non essendo la gran parte degli individui dei “geni”, hanno bisogno, come d’altronde è sempre stato in passato, di un periodo adeguato di istruzione, formazione, tirocinio e, soltanto dopo, possono essere effettivamente pronti per poter accedere a mansioni di maggiori responsabilità e di più ampio respiro.

Al riguardo si possono fare degli esempi nel mondo dello spettacolo che, forse, sono più facilmente comprensibili e verificabili.


Una volta un attore, un cantante, un ballerino, arrivavano alla notorietà dopo anni di studio ai conservatori o alle accademie.

Infatti i ballerini di varietà provenivano quasi sempre da studi di danza classica, dalla quale in seguito erano approdati a quella moderna.


I cantanti avevano, in genere, studiato canto o musica e, se provenivano da famiglie semplici o umili e non si erano potuti formare prima, avevano la grossa umiltà di mettersi a studiare dopo, quando erano magari già famosi, per migliorarsi sempre più. Gli attori provenivano dalla scuola di arte drammatica o dal centro sperimentale di cinematografia. Poi, dopo la preparazione teorica avveniva anche quella pratica, sul campo, con una gavetta fatta di particine, comparsate, doppiaggi, ecc. L’unione di teoria e pratica contribuivano alla formazione di artisti completi, di professionisti capaci di affrontare qualunque ruolo, spartito, estensione vocale, ballo, mentre oggi, nel mondo dello spettacolo, vengono lanciati personaggi che non hanno alcuna preparazione di base, privi di professionalità e di formazione. Ovviamente iter diversi sono stati necessari in altri ambiti lavorativi, ma sempre con, alla base, una formazione solida, di conoscenze, esperienze e competenze adeguate a quel contesto, cosa che, spesso, oggi non avviene.


Insomma, solo i cosiddetti “Geni”, possono fare “tutto e subito”, perché in possesso di qualità al di sopra della media, ma tutti gli altri è bene che si dedichino prima allo studio e si formino nel lavoro che dovranno svolgere, partendo dal basso, dalle mansioni più semplici; così come fece fare il padre a Gianni Agnelli, per fargli comprendere che si può arrivare in alto solo se si ha l’umiltà di partire dal basso, per forgiarsi e temprarsi opportunamente.  


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