Pomigliano, la difficile vocazione della politica a costruire il consenso

Felice Massimo De Falco • 6 aprile 2023

E dunque il polo del civismo adulterato dalla presenza di qualche partito (vedi Azione) appare oggi come l’esercito di Serse, una falansteria di sigle e di nomi altisonanti che fanno presagire successo assicurato. Resta da capire fino in fondo chi sarà il candidato sindaco e quali equilibri interni si consolideranno ma é bene non suonare il peana della vittoria quando davanti a se si ha l’incognita dell’avversario ma sopratutto non si è entrati ancora nei gangli dell’opinione pubblica che, svolazzati i voti del Laboratorio, latitano nell’aere o sono ingessati nella disillusione di chi in questo franoso progetto aveva riposto speranza e rancore, voltando pagina. Il consenso, dunque, non è scontato, nonostante l’elefantiaca formazione schierata che si muove nella cristalleria delicata della sensibilità popolare. È proprio qui che bisogna partire, dalla creazione del consenso

E dunque il polo del civismo adulterato dalla presenza di qualche partito (vedi Azione) appare oggi come l’esercito di Serse, una falansteria di sigle e di nomi altisonanti che fanno presagire successo assicurato. Resta da capire fino in fondo chi sarà il candidato sindaco e quali equilibri interni si consolideranno ma é bene non suonare il peana della vittoria quando davanti a se si ha l’incognita dell’avversario ma sopratutto non si è entrati ancora nei gangli dell’opinione pubblica che, svolazzati i voti del Lavoratorio, latitano nell’aere o sono ingessati nella disillusione di chi in questo franoso progetto aveva riposto speranza e rancore, voltando pagina. Il consenso, dunque, non è scontato, nonostante l’elefantiaca formazione schierata che si muove nella cristalleria delicata della sensibilità popolare. È proprio qui che bisogna partire, dalla creazione del consenso.


I modi per creare consenso e coesione (in un gruppo, in un’organizzazione, ma anche in un intero Paese) sono due: affidarsi alla logica amico-nemico, oppure costruire e comunicare un progetto credibile e convincente.
Nel primo caso l’impalcatura del consenso si regge su un messaggio: là fuori c’è un nemico pericoloso, la coesione interna, il consenso al leader, l’adesione a un’idea (magari senza troppo sottilizzare) servono a distinguersi e difendersi da quel nemico.


I vantaggi di questa modalità sono piuttosto evidenti:

  • velocità nella creazione del consenso (se il nemico è davvero così pericoloso, non c’è che una possibilità: stare con chi lo combatte);
  • forza nel reprimere il dissenso (o stai con me, o sei contro di me e, quindi, fai il gioco del nemico);
  • focus sui comportamenti del nemico più che sui propri: non è nemmeno così necessario avere un progetto di sviluppo per il futuro, e, soprattutto, il confronto con i risultati passa in secondo piano.


Per tutti questi motivi, non sorprende il fatto che gruppi, organizzazioni, anche partiti politici nella fase iniziale del loro ciclo di vita (e nelle fasi in cui il tema del consenso è più rilevante) ricorrano a piene mani alla logica amico-nemico (non credo serva fare esempi).
Molto spesso, addirittura, queste narrazioni individuano il nemico all’interno del proprio sistema (altre parti dell’organizzazione, altre correnti di partito).


La seconda modalità, invece, consiste nel creare coesione attorno ad un progetto, ad un obiettivo, ad un “dover essere” persuasivo e motivante. Si tratta di un processo più lento, probabilmente più solido e inclusivo. Certo, questa modalità sottostà anche a quello che, in un ambito un po’ diverso, si definisce “Il principio del progresso“. Non basta, cioè, stabilire un obiettivo coesivo, si deve anche comunicare costantemente un progresso al fine di mantenere alta la motivazione.

Non serve precisare come l’abilità del leader resta quella di dosare le due logiche, perché se è vero che di logica amico-nemico si può campare per un bel po’, gli effetti collaterali indesiderati non sono da poco:


  • reprimere il dissenso può significare creare una conflittualità latente che approfitterà della prima occasione per manifestarsi;
  • definire la propria identità soltanto per differenza rispetto al nemico vuole dire, comunque, non costruire un modello proprio che diventi un polo di attrazione di nuovo consenso, magari esterno rispetto alla cerchia iniziale. Si “incapsula”, cioè, l’identità del gruppo nella pura contrapposizione con il nemico;
  • non avere un polo di attrazione, ma soltanto un polo di repulsione potrebbe creare, nell’organizzazione, delle “schegge impazzite” che, se anche si applicano per infliggere delle perdite al nemico, non sanno però “fare squadra”.


Infine (ma forse questa è la cosa più importante), le organizzazioni politiche che basano il loro consenso interno soltanto sulla logica amico-nemico spesso implodono in brevissimo tempo, quando il nemico sparisce o perché viene sconfitto definitivamente (infatti, capita di osservare leader che preferiscono “mantenere in vita” un nemico proprio per non dover affrontare il problema della sua scomparsa), oppure perché qualcuno, anche dall’interno, inizia ad insinuare il dubbio che il mostro potrebbe non essere così brutto come lo si dipinge e che, a guardarlo meglio, si tratta più di un avversario che di un nemico.


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