Un ritardo...a chi lo dico?

Simona Sanverino • 9 giugno 2022

Un ritardo...a chi lo dico?  - La Rubrica di Simona Sanverino Parte II

Perché di certo nella società moderna in cui viviamo per una donna rimanere incinta e decidere di avere quel bambino pur trovandosi nella condizione di single non rappresentava più un problema. Si era ormai lontani dal concetto o preconcetto di ragazza madre. Oggi le donne spesso guadagnavano più soldi degli uomini e in ogni caso non era poi così complicato tirare su un figlio da sole e senza l’aiuto di qualcun altro. In altri casi ci sarebbero stati i nonni, come sarebbe stato nel mio caso, a dare una mano. Insomma il concetto di famiglia era cambiato. E di certo bastava una donna con un figlio a creare una vera e propria famiglia. E non c’entrano gli psicologi e le loro discordanti teorie sul significato dei ruoli e dell’importanza di entrambi per la crescita di un figlio. Ormai si faceva anche soli!


Il mio caso tra l’altro sarebbe comunque rientrato nella normalità… un Caso, un errore o imprevisto. Ma pensate che ci sono donne che quando superano una certa soglia di età decidono di diventare madri ad ogni costo, qualcuna in maniera anche artificiale, con la fecondazione insomma. Quindi, di che parliamo
? Ero stata anche a trovare mia nonna. In realtà ho origini napoletane e tornata a Roma sentii il bisogno di andarle a fare visita proprio in occasione del piccolo dramma. Decisi di rivedere tutti gli affetti prima di prendere qualunque decisione. E la visita alla nonna fu proprio la più complicata. Una città del sud… una nonnina di 90 anni… Avrebbe accettato la moderna perversione dell’aborto? Avrebbe potuto capire se la nipote fosse diventata ragazza madre… insomma come l’avrebbe presa
?


Ripeto i tempi sono cambiati ed il concetto di ragazza madre… cioè vedete non è certo più un problema. Però nell’animo la scelta era dura. Sarebbe stato difficile abortire ma complicato tenere quel bimbo. Mi sentivo in colpa, ma avere un figlio in quel momento non rientrava proprio in nessun sogno..
. Giunsi a Napoli… la nonna mi accolse : “Bambina mia, che bella che sei e come sei diventata grande! Ahhh sono contenta che ti ricordi di questa vecchina!?
” “Ciao nonnina, come stai?
” “Eh piccola, sto bene, sto bene… ormai sono proprio una vecchina, sono stanca… ed ho sempre il desiderio di vedere voi miei cari… ma come stanno tutti? E tuo fratello? Sarà diventato un uomo… ma lasciati guardare … sei una piccola donna ormai… somigli tutta a tua madre… era come te sai… sempre in tiro e sempre magrissima!” – continuando la nonna.

Andammo avanti così per un bel po’… Mi sentivo amata e protetta lì nella casa della mia infanzia e di mia madre. Per un po’ di ore dimenticai il vero motivo della visita trascorrendo il tempo in quel luogo tra carezze e racconti della nonna che non mancò neppure questa volta di ricordarmi il suo amore con il nonno. Si erano sposati in periodo di fascismo e… in realtà in maniera bizzarra.


 La nonna era solita raccontarlo… che ai suoi tempi aveva sposato il nonno perché Mussolini aveva disposto la cifra di 500 lire alle coppie che si sarebbero sposate. Ma fu un grande amore… Rimasi lì tutto il giorno ad accudire e farmi accudire… ad ascoltare e nella mente a paragonare le sorti e i vissuti ormai totalmente differenti. Decisi di non turbare l’equilibrio della nonna con la mia confidenza, ma quel calore mi fu di conforto qualunque sarebbe stata la scelta da compiere. In quel momento seppi che il mio era un cuore d’amore e che la mia vita avrei voluto viverla all’insegna di quell’amore. Non avrei permesso che quella storia e quell’incidente mi rovinassero il sogno. Tornai a casa ancora con la sensazione di magone allo stomaco ma con la consapevolezza che la mia famiglia non mi avrebbe abbandonata e giudicata. Decisi di affrontare i miei pensieri facendo un bagno caldo ed accendendo le solite candele
. Salii al piano di sopra dove erano le camere da letto. Presi l’occorrente e mi rintanai nel bagno dalle pareti gialle. Preparai la vasca con idromassaggio. La riempii di acqua molto calda e versai poche gocce del mio bagnoschiuma alla mandorla… mi svestii e mi immersi con calma. Pensai a quelle strane sensazioni mentre lentamente strofinavo il mio corpo col guanto di crine a forma di cuore.


Quel giorno e mezzo mi sembrò un’eternità
! “Mio Dio, speriamo che sia un falso allarme – pensavo a voce alta – cosa faccio se così non è! Dovrò dirlo a tutti! e cosa penserà il mondo di me! Io non lo voglio…
” Abbozzai qualche lacrima: “e se dovesse essere un segno divino!? E se questa fosse l’unica possibilità che ho per diventare madre!? Mio Dio ma come è potuto essere!? Sono una sprovveduta! – lanciando la spugna nell’acqua fino al fondo - mia madre, mio fratello, mio padre… cosa diranno!? Cosa mi hanno mandato a fare a Milano!?... avrò tradito la loro fiducia con questo gesto! Poi capiranno e accetteranno ma la mia vita sarà diversa!
” Un po’ piansi, un po’ mi rammaricai per i brutti pensieri. Per il fatto che non riuscivo ad accettare tutto questo. Lo avrei voluto e come un figlio ma nato come nei miei sogni: accanto a un uomo, nell’amore. Come ero nata io. Come mi raccontava spesso mia madre.


Trascorsi il resto del sabato immersa in quei pensieri. Rincasarono madre, padre e fratello… mi sforzai di far finta di nulla
… Sedetti a tavola con loro. Spizzicai qualcosa
. “Cosa succede piccola mia – fece mia madre – non mangi nulla! Queste sono le tue abitudini milanesi? – sorridendo e appoggiandomi dolcemente il braccio sulle spalle
. “ No mami a Milano Chiara mangia finger food – prese a dire con riso mio fratello – dai sorella racconta come te la passi lassù!


” “Niente male” – replicai, con un dolce sorriso e gli occhi sul piatto, quasi in imbarazzo. L’area era pressoché estranea perché la mia mente era altrove. Non avrei voluto. Volevo rispondere con calore a quel calore. Ma non era forse il momento
. Ad un certo punto dissi: “Scusatemi, io vado a letto ho un forte mal di testa e sono stanca!
” “Certo bambina mia… hai fatto un lungo viaggio. Vai pure” – esclamò mia madre
. “Fratello io e te continuiamo domani” – dissi e lo baciai sulla fronte
. Andai a letto, ma non chiusi occhio quella notte. Mi giravo e rigiravo. Mi coprivo, d’un tratto m’alzavo e sedevo in mezzo al letto. Sospiravo, piangevo… accarezzavo la mia piccola pancia… ma soprattutto pregavo che quello si rivelasse presto soltanto un brutto sogno.


Qualche pensiero andò anche a come sarebbe stato… si a come avrei portato avanti la gravidanza… al sesso, al nome. Abbozzai persino un sorriso… Un maschio avrei sempre pensato dovesse chiamarsi Lorenzo. Ma non appena pensavo di doverlo dire ai miei genitori… beh lo avrei detto prima a mia madre, lì nella cucina dalle pareti verdi. Poi a mio padre… e all’immagine del suo volto ricominciavo a piangere

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