I sinistrati tentano di riparare su Fender sotto l’egida del fattore K

Felice Massimo De Falco • 16 aprile 2023

E si sprecano gli aforismi per aizzare l’entusiasmo, deviando dal corso inerziale delle cose e dei fatti politici gravi. La sinistra a Pomigliano vive con stridore una vedovanza austera col suo popolo, i suoi simbolismi sono idiomi sepolcrali di una razza estinta e non riesce a ricongiungersi coi mondi vergini del suo elettorato.




Oscurati nell’anonimato di una figura barbina, la sinistra soverchiante, quella indefessa schiera di comunisti in mimetica democratica, cerca di spostare l’attenzione sull’unico candidato di sinistra che è riuscito a presentare la lista, Vito Fender Fiacco, candidato sindaco per Rinascita, di matrice comunista puro, manicheo fino all’estremo e armato di quella sana e robusta virulenza dogmatica che soffia sul substrato delle anime dem e di qualche 5 Stelle.


C’è chi addirittura richiama l’attenzione dei segretari nazionali di Pd e M5S, Schlein e Conte, per indirizzare al voto i loro simpatizzanti, con traslitterazioni ideologiche figlie di una storia che la caduta del Muro di Berlino ha bocciato. Il comunismo pare sia un leviatiano dormiente in questi adoni del settarismo e credono che fare appelli alla convergenza sia ora un imperativo categorico, senza contare che sono passate solo poche ore da quando dal Vaso di Pandora è uscita fuori con virulenza tutta la nullità, la vacuità di un consorzio politico non tagliato per la politica.


Mai colti da una profonda riflessione interiore, si lanciano come angeli smemorati “sul primo compagno che passa” pur di abbattere l’avversario. E’ strana questa loquacità parossistica via social dopo una batosta del genere, accompagnata da ferali accenti per l’avversario che trasuderebbe “livore”.

Quell’avversario che dal confino di casa sua è riuscito a svuotare anche il Pd. Mai una depurazione dalla retorica pietistica, un mea culpa divinizzato, ma revanche sterile sotto l’egida del fattore K (Komunismo), come se fossero ascoltati messaggeri della buona parola. E’ una tara antropologica quella di sentirsi “migliori” davanti al cospetto dei fallimenti con quelle facce da impuniti. Diceva Leo Longanesi: “Quando suona il campanello della loro coscienza, fingono di non essere in casa”.


E, dunque, ora lanciano i loro coriandoli d’esistenza con timbro profetico sui social come fosse cosa aritmetica spostare una massa di consensi di gente disillusa verso un candidato che si raffronta così giovane contro la Grande Armata di Lello Russo.


E si sprecano gli aforismi per aizzare l’entusiasmo, deviando dal corso inerziale delle cose e dei fatti politici gravi. La sinistra a Pomigliano vive con stridore una vedovanza austera col suo popolo, i suoi simbolismi sono idiomi sepolcrali di una razza estinta e non riesce a ricongiungersi coi mondi vergini del suo elettorato.


Si lascia andare ad ardori manierati come nani dalla voce flautata e crede ora di avere doti di stregoneria facendo distaccati outing per Rinascita per salvare almeno la faccia. Piuttosto la grande comunità dem andrà a rimpinguare il primo partito della città, quello dell’astensionismo ragionato nell’attesa che la sinistra ricostruisca tutto il suo intricato dedalo con la collaborazione del tempo. Il popolo dem, in gran parte, è gente povera di averi ma libera di essere. Le coartazioni non serviranno, anzi, peggioreranno le cose.

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