Il linguaggio della politica: l'hate speech. L'analisi di Francesco Urraro

Francesco Urraro • 22 agosto 2022

Il linguaggio della politica: l'hate speech. L'analisi di Francesco Urraro

Negli ultimi anni si sta assistendo ad una crescente spirale dei fenomeni di odio e intolleranza che pervadono la scena pubblica accompagnandosi sia con atti e manifestazioni di esplicito odio e persecuzione contro singoli e intere comunità, sia con una capillare diffusione attraverso vari mezzi di comunicazione e in particolare sul web. Parole, atti, gesti e comportamenti offensivi e di disprezzo di persone o di gruppi assumono la forma di un incitamento all’odio, in particolare verso le minoranze; essi, anche se non sempre sono perseguibili sul piano penale, comunque costituiscono un pericolo per la democrazia e la convivenza civile. Si pensi solo alla diffusione di certi linguaggi e comportamenti ricorrenti.
Non esiste ancora una definizione normativa di
hate speech. Per meglio definire il fenomeno si ricorre alle categorie dell’incitamento, dell’istigazione o dell’apologia. Il termine incitamento può comprendere vari tipi di condotte.


L’espressione hate speech, nonostante non sia indicata nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), è stata usata dalla Corte per la prima volta l’8 luglio 1999. La Corte ha però evitato una definizione precisa del fenomeno (nel timore che ciò limitasse il proprio futuro raggio d’azione), ricorrendo di volta in volta ad un approccio mirato, che tenesse conto delle varie circostanze del caso concreto: l’intento dello speaker, l’intensità e la severità dell’espressione, il fatto che essa fosse diretta o indiretta, esplicita o velata, singola o ripetuta. Un approccio articolato di estrema importanza e utilità nella ricerca di più adeguate e incisive politiche di risposta e contrasto al problema. La CEDU differenzia i discorsi di odio per categorie (razziali, sessuali, religiosi, etnici o politici). Gli hate speech consistono in un intenso ed estremo sentimento di avver- sione, rifiuto, ripugnanza, livore, astio e malanimo verso qualcuno. Diversamente dall’hate speech, i crimini di odio (hate crimes) costituiscono un’offesa penale diretta intenzionalmente contro una vittima predeterminata e pertanto possono rendersi necessarie restrizioni di carattere repressivo.


Gli hate speech sono difficili da definire e suscettibili di applicazioni arbitrarie, i codici penali di molti Stati, infatti, con riferimento all’incitamento alla violenza o all’odio, utilizzano svariate terminologie e di conseguenza vari criteri di applicazione. Gli aspetti più divergenti fra le varie legislazioni dipendono per lo più dai seguenti fattori: il peso attribuito all’intento, alla motivazione, allo strumento di comunicazione prescelto, al contesto e alle conseguenze prevedibili in date circostanze. Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa definisce gli hate speech come le forme di espressioni che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o più in generale l’intolleranza, ma anche i nazionalismi e gli etnocentrismi, gli abusi e le molestie, gli epiteti, i pregiudizi, gli stereotipi e le ingiurie che stigmatizzano e insultano.


Il tema investe soprattutto il rapporto tra multinazionali digitali e democrazia. Viviamo – nel tempo di oggi – dentro un contesto sociale sempre più plasmato dalle piattaforme digitali, che si configurano come molto più di un mezzo di comunicazione e sempre più come forma sociale totalizzante spinta dalla continua rivoluzione tecnologica. Rispetto ad altre fasi storiche, ciò che oggi appare peculiare è la pervasività dei discorsi d’istigazione all’odio legata alla capacità di propagazione della rete. Oggi questo tema è ampiamente riconosciuto come il più urgente.


Questo stato delle cose rende ogni giorno più evidente la necessità di un intervento a tutela delle categorie più deboli delle nostre società, così come testimonia con forza la Raccomandazione sul contrasto all’hate speech appena deliberata dal Consiglio d’Europa, adottata dal Comitato dei Ministri il 20 maggio 2022 [CM/Rec(2022)16].
La necessità di contrastare i discorsi d’istigazione all’odio non deve mai scontrarsi o confliggere con la necessità di tutelare la libertà di espressione. Per questa ragione nasce l’esigenza di dettagliare con nettezza il confine tra i discorsi che sono tollerati e quelli che sono intollerabili.
Individuare questo punto di confine è lavoro sicuramente complesso, ma al quale sarebbe gravemente inadempiente sottrarsi. Il costituzionalismo europeo ha tra i suoi princìpi fondanti il rispetto della dignità umana. La tutela della libertà di espressione, fondamentale e irrinunciabile per le nostre democrazie, deve essere sempre bilanciata con il rispetto della dignità della persona; i discorsi d’odio, costituendo un abuso della libertà di espressione, si pongono fuori della sua protezione. Il linguaggio d’istigazione all’odio è un linguaggio discriminatorio, perché impedisce il protagonismo di singole individualità e di intere comunità. È un discorso dai tratti totalitari, che esclude e reprime, incompatibile con la democrazia, che invece ha il compito di includere ed emancipare.

Sen. Avv. Francesco Urraro Membro Commissione Giustizia Membro Commissione bicamerale antimafia, Membro Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, Membro Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza

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