“Quel che so di loro. Trent’anni di un radicale in Forza Italia” di Elio Vito - La recensione

Felice Massimo De Falco • 11 maggio 2025

"Quel che so di loro" è un memoir politico che intreccia analisi storica e riflessione personale, offrendo un ritratto lucido e critico della Seconda Repubblica. Elio Vito emerge come un testimone privilegiato delle trasformazioni del berlusconismo, da esperimento liberale a forza subalterna alla destra, e della crisi della politica italiana, segnata da trasformismo e disaffezione. La sua storia è quella di un radicale che ha cercato di portare i valori di libertà e giustizia in un partito che, col tempo, ha smarrito la propria identità: “La libertà, vince, sempre. Anche le mie dimissioni, in fondo, sono state un piccolo gesto di libertà” .

Elio Vito, autore di "Quel che so di loro. Trent’anni di un radicale in Forza Italia", pubblicato da Rubbettino Editore (p. 132), è una figura politica di spicco nel panorama italiano, la cui carriera si snoda tra un impegno radicale iniziale e una lunga militanza in Forza Italia. Nato a Napoli, Vito inizia il suo percorso politico negli anni giovanili con i radicali, affascinato dalle battaglie civili del Partito Radicale di Marco Pannella. A soli 15 anni, nel 1975, si avvicina al movimento dopo aver assistito al Congresso radicale di Napoli, segnato dall’assenza di Pier Paolo Pasolini, assassinato quella stessa notte: “Andai al Congresso, solo che Pasolini non intervenne mai, fu barbaramente assassinato, proprio la notte in cui doveva venire a Napoli al Congresso radicale”. Questo evento segna l’inizio della sua militanza, che lo porta a vivere esperienze di lotta nonviolenta contro le violenze di missini e comunisti, come racconta nelle pagine dedicate agli scontri in Piazza Dante: “Quando scendevamo in piazza per distribuire i nostri volantini ciclostilati a mano venivamo sistematicamente aggrediti, e i nostri volantini finivano distrutti, dai missini”.


La carriera istituzionale di Vito decolla nel 1988, quando subentra a Pannella in Consiglio comunale a Napoli, e culmina con l’elezione alla Camera nel 1992 con appena 571 preferenze, un record di cui va fiero: “Avevo realizzato un record minimo, eletto in Parlamento con poco più di cinquecento preferenze; un record del quale sono sempre andato molto fiero”. La sua parabola politica lo vede poi approdare in Forza Italia, dove ricopre ruoli di primo piano: presidente della Giunta delle Elezioni (1996), capogruppo di Forza Italia (2001-2008), ministro per i Rapporti con il Parlamento nel quarto governo
Berlusconi (2008-2011) e presidente della Commissione Difesa (2013). Tuttavia, il suo percorso si interrompe bruscamente nel 2022, quando si dimette da deputato dopo aver lasciato Forza Italia, un gesto senza precedenti che sottolinea la sua coerenza etica: “Non era mai successo prima che un parlamentare lasciasse lo scranno perché aveva lasciato il partito che lo aveva eletto”.

Il significato del titolo: quel che sa Elio Vito di “Loro”


Il titolo "Quel che so di loro" richiama un’intima riflessione su ciò che Vito ha appreso delle persone che hanno segnato la sua vita politica: colleghi, avversari, leader come Pannella e Berlusconi, e l’intera classe politica italiana. Come spiega nella premessa, il libro non è una vera autobiografia, ma un tentativo di “celebrare la politica, la militanza e l’impegno politico” , evitando di rivelare dettagli privati: “Non dirò mai nulla di troppo personale o privato delle persone incontrate per poterne parlare; anche la politica ha un’etica, o dovrebbe averla”.


Ciò che Vito “sa di loro” è quindi una conoscenza profonda delle loro idee, contraddizioni e trasformazioni. Conosce il Pannella carismatico e visionario, “il mio unico maestro politico, assieme a Silvio Berlusconi”, ma anche il suo lato umano, con limiti e errori. Conosce il Berlusconi iniziale, antifascista e liberale – “Questo era il Berlusconi che avevo conosciuto, un Berlusconi che aveva simpatie socialiste, liberali, radicali, cattoliche, che era antifascista” ( – e il suo declino verso ambiguità e populismo, come, per esempio nell’appoggio a Putin: “Formalmente condannò l’invasione russa ma continuava pure, nello stesso tempo, a elogiare Putin, a giustificarlo” . Vito conosce i colleghi parlamentari, spesso più interessati al potere che ai valori: “Il principale interesse di un politico diventa quello di essere eletto in Parlamento e, dopo essere stato eletto, quello di essere rieletto”. Questo titolo riflette quindi una testimonianza personale e critica, un bilancio di trent’anni trascorsi a osservare l’evoluzione (o involuzione) di “loro”, la politica italiana.

Il bagaglio pannelliano in Forza Italia

Vito porta con sé in Forza Italia un’impronta radicale che si manifesta in diversi aspetti del suo operato. La sua formazione pannelliana emerge nel rispetto delle istituzioni e nella difesa dei diritti civili, valori che lo accompagneranno per tutta la carriera. Come scrive nella prefazione Marco Gervasoni, “l’interruzione dell’attività di parlamentare non ha portato con sé quella dell’attività politica in senso più nobile”, evidenziando la continuità del suo impegno ideale. La sua sensibilità per le regole parlamentari, appresa durante gli anni con Pannella, si concretizza in episodi come lo studio del Regolamento del Consiglio comunale di Napoli per consentire interventi strategici: “Trovai un articolo, il numero 37, che consentiva di intervenire brevemente a inizio seduta per porre questioni non all’ordine del giorno. Pannella iniziò a utilizzare sistematicamente quell’articolo del Regolamento”, o nella battaglia per il voto segreto sulla decadenza di Berlusconi nel 2013: “Sostenni la tesi che il voto sulla decadenza di Berlusconi era un voto sulla sua persona e che, come tale, doveva essere effettuato a scrutinio segreto”.


Inoltre, Vito mantiene una visione garantista e legalitaria tipica dei radicali, che lo porta a sostenere cause come quella dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, per i quali organizza missioni parlamentari in India nel 2014: “L’iniziativa della quale vado più fiero, da Presidente della Commissione difesa, è stata senz’altro il sostegno, che fu unanime, da parte della Commissione, ai due fucilieri di Marina”. La sua eredità radicale si riflette anche nel sostegno ai diritti civili, come il voto a favore delle unioni civili nel 2016 e della legge Zan nel 2021, contro la linea del partito: “Avevo già votato, nella legislatura precedente, durante il governo Renzi, a favore della legge sulle unioni civili, insieme ad altri deputati di Forza Italia”, e successivamente “alla Camera votai a favore, sempre con altri deputati di Forza Italia, di quella proposta di legge”.

L’ascesa e la discesa del berlusconismo

Il libro di Vito offre una lettura critica dell’ascesa e del declino del berlusconismo, che egli considera un “esperimento di liberalismo di massa” in un Paese dove il liberalismo era morto nel 1922 con l’avvento del fascismo. L’autore descrive l’entusiasmo iniziale di Forza Italia, fondata nel 1994 da Berlusconi, come un progetto che aggregava sensibilità diverse – radicali, socialiste, democratiche – sotto un’unica bandiera liberale. Tuttavia, questa visione si deteriora progressivamente. Vito individua nel Popolo della Libertà (Pdl), nato dalla fusione di Forza Italia e Alleanza Nazionale, un’esperienza “nefasta” che contamina la cultura liberale con quella della destra post-fascista: “Il Pdl, considerata una esperienza nefasta, non solo perché finita in breve tempo e male, ma perché ha contaminato la cultura politica liberale di Forza Italia con quella della destra post-fascista”.
Il declino del berlusconismo si accelera con lo spostamento a destra del partito, soprattutto dopo il 2013, quando Forza Italia inizia a inseguire il populismo di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Vito critica aspramente questa deriva, sottolineando come Forza Italia sia diventata “un’aggregazione alla rincorsa del populismo di destra, con pulsioni xenofobe, autoritarie e clericali”. Un momento chiave è il voto contrario del partito alla legge Zan, che scatena la sua protesta: “Già in occasione del voto di Forza Italia al Senato che determinò il non passaggio all’esame degli articoli del ddl Zan, e del vergognoso applauso che lo accompagnò, lasciai i miei incarichi di partito”.

Le ragioni dell’addio a Forza Italia

Le dimissioni di Vito da Forza Italia e dal Parlamento nel 2022 sono il culmine di un dissenso profondo. Due sono i motivi principali: la deriva ideologica del partito e le scelte di politica estera di Berlusconi. Sul piano interno, Vito non accetta l’alleanza di Forza Italia con formazioni di estrema destra, come quella con ex membri di CasaPound a Lucca nel 2018, che lo porta a lasciare il partito: “L’antifascismo è il valore fondante la nostra Repubblica e la nostra Costituzione ed è un valore irrinunciabile. Forza Italia vi stava, invece, rinunciando”. Inoltre, non tollera l’appiattimento del partito sui valori della destra, come l’opposizione alla legge Zan, che contraddice la sua visione liberale e radicale.


Sul piano internazionale, Vito si scontra con le posizioni ambigue di Berlusconi verso la Russia di Putin, soprattutto dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022. Egli denuncia l’atteggiamento del leader, che “formalmente condannò l’invasione russa ma continuava pure, nello stesso tempo, a elogiare Putin, a giustificarlo”, e critica episodi come l’intervista a Lavrov su Rete 4, un canale di Mediaset: “Criticai, pubblicamente, anche quell’intervista a Lavrov da parte di una rete televisiva di Berlusconi”. Questi eventi, uniti all’accordo commerciale di Mediaset con un’azienda cinese nonostante le sue preoccupazioni sulla sicurezza nazionale – “Valutai, comunque, molto negativamente quell’accordo commerciale, che assumeva anche una valenza politica” – lo spingono a un gesto radicale: “Mi dimisi, da Forza Italia e dalla Camera, dopo trent’anni in Parlamento”.

Cosa doveva incarnare Forza Italia e cosa è diventata la politica oggi

Secondo Vito, Forza Italia avrebbe dovuto incarnare un progetto di liberalismo democratico, capace di aggregare diverse sensibilità politiche senza cedere a derive autoritarie o populiste: “Forza Italia ha perso la sua natura di movimento politico, leaderistico, liberale e democratico” , scrive, lamentando la sua trasformazione in un partito subalterno alla destra. Questo tradimento dei valori originari è, per l’autore, emblematico della crisi della politica italiana, che oggi “promuove la pratica deteriorata del trasformismo, alimentando cambi di partito e di gruppo non motivati da ragioni ideali, valoriali, politiche ma da meri interessi personali, elettorali, di voti, di preferenze”.

La politica attuale, secondo Vito, è dominata da partiti che hanno perso il contatto con la società, favorendo l’astensionismo e la sfiducia nelle istituzioni: “Gli astenuti, coloro che non si recano alle urne, aumentano ma la cosa non interessa a nessuno, non interessa certo ai partiti politici”. Tuttavia, l’autore mantiene una visione ottimistica, fondata sulla partecipazione dei giovani, sul progresso tecnologico e sull’impegno della “società politica”: “Credo, però, che la speranza per il futuro non risieda molto in questi partiti. […] Occorre, innanzitutto, andare sempre a votare, partecipare sempre alle elezioni”, e ancora “I giovani hanno bisogno di avere nella società anche questi modelli, questi esempi”,
che considera l’antidoto al degrado della politica partitica.

"Quel che so di loro" è un memoir politico che intreccia analisi storica e riflessione personale, offrendo un ritratto lucido e critico della Seconda Repubblica. Elio Vito emerge come un testimone privilegiato delle trasformazioni del berlusconismo, da esperimento liberale a forza subalterna alla destra, e della crisi della politica italiana, segnata da trasformismo e disaffezione. La sua storia è quella di un radicale che ha cercato di portare i valori di libertà e giustizia in un partito che, col tempo, ha smarrito la propria identità: “La libertà, vince, sempre. Anche le mie dimissioni, in fondo, sono state un piccolo gesto di libertà” .

Attraverso il racconto della sua ascesa, delle battaglie istituzionali e del doloroso addio, Vito invita a riflettere sull’importanza dell’impegno politico e sulla necessità di rinnovare le istituzioni democratiche, affidando la speranza al protagonismo dei giovani e alla “società politica”. Il titolo "Quel che so di loro" racchiude così il cuore del libro: una testimonianza di ciò che Vito ha appreso dagli altri – leader, colleghi, avversari – un sapere fatto di ideali condivisi e di disillusioni, che lo ha spinto a un atto di libertà personale e politica.

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