La Francia a ferro e fuoco in nome della libertà

Mario Volpe • 8 luglio 2023

Certamente la morte di un ragazzo con un proiettile al cuore per non essersi fermato all’alt della polizia è un’ingiustizia. Ma lo è anche chiedere ai lavoratori di rinunciare a ventiquattro mesi della propria vita ritardando il pensionamento da sessanta due a sessanta quattro anni, oppure aumentare il costo dei carburanti spingendo, di conseguenza, al rialzo i prezzi al consumo con il risultato di danneggiare le classi medie.

Ancora una volta i francesi sono scesi in piazza mettendo a ferro e fuoco la capitale. Ma questa volta non c’era la Bastiglia da prendere e non c’era un re da ghigliottinare, ma c’era da manifestare per la morte di un diciassettenne freddato dalla polizia nella cittadina di Nanterre per aver forzato un posto di blocco.


Malgrado gli accorati appelli della madre di Nahel, (questo era il nome della giovane vittima) i cortei di protesta sono rapidamente degenerati in un’ondata di rivolta che ha quasi travolto tutto il paese, contagiando addirittura la Svizzera e il Belgio.


Città come Lione, Marsiglia, Grenoble, Darmanin, Nizza e tanti altri centri sono stati messi a ferro e fuoco da una valanga di ragazzini inferociti le cui giuste ragioni hanno, però, provocato danni per oltre un miliardo di euro, arresti, centinaia di feriti e un morto oltre a Nahel senza, purtroppo, riportarlo indietro.


Per più di una settimana i media di tutto il mondo non hanno fatto altro che rimbalzare le notizie delle proteste, sottolineando la rinuncia del presidente Macron al suo viaggio per una visita di Stato in Germania. Eppure, dopo oltre duecentotrenta anni dovrebbe essere chiaro che i francesi mal sopportano i soprusi, gli abusi di potere, le restrizioni della libertà intese come il diritto di fare ciò che non nuoce agli altri. Il rispetto delle regole, dunque, un altro dei pilastri fondamentali della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, dove l’uguaglianza abolisce ogni differenza per nascita e condizione sociale. In sintesi, un’idea di fratellanza che proibisce di fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi. Sulla base di questi concetti, ben radicati dall’ispirazione illuminista e proposti da un testo de La Fayette, è impossibile non aspettarsi sommosse tutte le volte che la popolazione percepisce il senso d'iniquità.


Certamente la morte di un ragazzo con un proiettile al cuore per non essersi fermato all’alt della polizia è un’ingiustizia. Ma lo è anche chiedere ai lavoratori di rinunciare a ventiquattro mesi della propria vita ritardando il pensionamento da sessanta due a sessanta quattro anni, oppure aumentare il costo dei carburanti spingendo, di conseguenza, al rialzo i prezzi al consumo con il risultato di danneggiare le classi medie.


Queste sono tutte iniquità, secondo il sociologo parigino Michel Kokoreff che ha tracciato la lunga storia delle rivolte popolari in Francia, che tendono a generare proteste violente da parte di classi sociali esasperate da condizioni di vita sempre più difficili. In questo modo fenomeni di discriminazione, di islamofobia, di povertà, isolamento e dispersione scolastica, nonché le recenti pratiche sul riconoscimento facciale, non hanno fatto altro che gettare benzina sul fuoco infervorando le masse che diventano sempre più reazionarie. 


Forse per molti, Nahel è stato l’ennesimo pretesto per manifestare il proprio disagio o per sfogare una crescente rabbia repressa. Così il ragazzo è stata la vittima innocente di una deriva sociale verso la paura, l’intolleranza e l’aggressività. La stessa aggressività che nel chiedere giustizia, se non vendetta, travolge e maciulla quegli stessi principi del motto: Libertè, Egalitè, Fraternitè, a cui tutta la Francia non rinuncia.

 

di Mario Volpe


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